DELLA GEOGRAFIA SALGARIANA


lettera aperta al Sig. Prof. Elio Manzi

(autore di Geografie Salgariane, Viglongo Editore, Torino, 2013)





Egr. Prof. Manzi,

le scrivo in relazione alla pubblicazione del suo saggio Geografie Salgariane, che ho appena terminato di leggere. Innanzi a tutto, la ringrazio per aver citato il mio lavoro su Mompracem e per le affettuose parole che ha utilizzato per descrivere la mia persona e la mia ricerca. Tuttavia non posso fare a meno di riportarle alcune considerazioni, elencate di seguito, sul suo lavoro di critica salgariana. E che critica! Il sottoscritto, Turcato e Spagnol, nessuno è stato risparmiato dalla sua penna. Sia detto, questo, in tono assolutamente bonario e amichevole, ma ciò mi fornisce un valido giustificativo al diritto di replica.

Vorrei sorvolare sull’aspetto storico, dal momento che sin dal titolo, il suo testo si occupa di geografie, e che né io né lei siamo storici di professione. Vorrei, ma non riesco.
Infatti, io sarei cauto a liquidare la somiglianza tra Bixio e Yanez (nota 8 a p. 17) solo per i fatti di Bronte – su cui ci sarebbe da scrivere molto, ma come detto, non siamo storici, giornalisti da contro storia o alfieri del revisionismo.
Come dimenticare la fuga di Bixio dalle imposizioni famigliari per darsi al mare (cosa che, potenzialmente può aver spinto anche Yanez a lasciare il Portogallo per l’Oriente)? Il suo rifiuto a comandare una nave negriera? I suoi viaggi per le Americhe e la Malesia, dove viene abbandonato su una scialuppa, attaccato dagli squali e quasi ammogliato alla regina degli indigeni?
Una vita salgariana, non trova?
Come dimenticare il tentativo di Bixio di rapire l’Imperatore Francesco Giuseppe? Il signor de Gomera non ha forse rapito il primo ministro del rajah dell’Assam, e poi dato delle noie allo stesso regnante?
Come dimenticare l’assalto quasi piratesco condotto dal Bixio al Piemonte e al Lombardo, le navi dei Mille?
Come dimenticare l’ardito e salgariano ultimatum alla città di Civitavecchia:

«Ho dodicimila uomini di terra, dieci corazzate, cento cannoni sul mare. Per la resa non accordo un minuto di più di ventiquattro ore altrimenti domani mattina si chiederà dove fu Civitavecchia.»

Che personalmente mi ricorda quello di Morgan in Jolanda la figlia del Corsaro Nero:

«Vi accordo ventiquattr’ore per mettere in libertà ed inviarmi la figlia del cavaliere di Ventimiglia e della duchessa di Wan Guld, il cui padre fu un tempo governatore di Maracaibo e suddito spagnolo.
Se non obbedite, spianerò la città e se occorre anche quella di Gibraltar. Rammentatevi di ciò che hanno saputo fare i filibustieri guidati dal Corsaro Nero, da Pietro l’Olonese e da Michele il Basco, diciott’anni or sono.»


Non voglio continuare per non apparire eccessivamente pedante, ma bisogna riconoscere che c’è molto del portoghese nella figura storica del Generale Bixio.

Saltando da un continente all’altro, e saltando a pag. 52, mi permetto anche io di correggerla.
Cito:

Nel terzo romanzo del ciclo, Le Selve Ardenti, tardo eppure godibile specie nei primi capitoli, Spagnol e Turcato obiettano nel Cap. VI (Attraverso il Nebraska) sulle confinazioni fra “Stati” USA. A pag. 35, nota 1: "In realtà il Wounded Knee è già nel South Dakota, presso il suo margine meridionale…"

E segue la sua “correzione” ai due annotatori dell’opera. Nulla da eccepire sul suo commento circa i territories preunitari e prestatali, ma Salgari è questa volta in errore. Il territory in questione, quello su cui si muovono gli eroi del romanzo è proprio il Territorio del Dakota, istituito nel 1861.
Se ciò non bastasse, a “difesa” di Turcato e Spagnol, vi è un altro elemento: le vicende de Le Selve Ardenti, culminano con il massacro di Wounded Knee, pertanto sono collocabili sul finire del 1890. Lo stato del South Dakota è stato ammesso nell’Unione nel 1889.

Passiamo infine a Mompracem, l’argomento che più da vicino mi riguarda. A p. 59, lei (e dico giustamente, a posteriori) critica la mia omissione degli studi di Fragale in bibliografia. La ragione è semplicemente che nella mia sconfinata ignoranza di studioso salgariano amatoriale, non conoscevo la sua critica a Raiola. Come avrà certamente visto, tuttavia, il Fragale è stato degnamente ricordato da Felice Pozzo nella postfazione.

Quanto a citazioni non debitamente riportate, mi è sembrato di ravvisare nel suo saggio, alcuni brani presi dalla mia ricerca su Mompracem senza gli opportuni riferimenti. Ma trattandosi solo di una sensazione e non di una certezza, non ritengo utile né positivo soffermarmi a lungo in merito.

Torno leggermente indietro, e mi permetto di confutare altre sue attestazioni.
A pp. 54-55, ad esempio, lei riporta i brani salgariani che riferiscono importanti indicazioni sulla sua ubicazione geografica, ed in particolare conclude:

E di rincalzo, da La riconquista di Mompracem, si ottiene un’ulteriore conferma: dalla baia di Varauni-Brunei, «le cannoniere fuggenti avevano raggiunto le altre che scendevano dal settentrione, ma avevano quasi subito continuata la loro corsa, muovendo rapidamente verso levante… Sandokan guardò Yanez: “Che vogliano rimorchiarci verso il Mompracem o Labuan?” chiese, “La loro rotta è per Mompracem”».

Quale ulteriore conferma, corpo di Bacco!? Qui ogni geografo, cartografo o marinaio dovrebbe ammonire il distratto (suo malgrado) Capitan Salgari che sorprendentemente confonde l’est con l’ovest. Io l’ho fatto, rifiutando il medesimo assunto sostenuto dal Prof. Tadini (o Todini), nel capitolo Keraman, l’isola che riappare, del mio saggio.
Se infatti le cannoniere facessero “rotta per Mompracem”, come dice l’autore, “muovendo rapidamente verso levante”, questo fatto porrebbe lo scoglio pirata all’interno della baia di Varauni, cosa quanto mai assurda nella realtà come nella finzione romanzesca.
Mi rammarica inoltre ravvisare la scarna e inadeguata argomentazione da lei contrapposta alla mia ipotesi che Mompracem possa essere stata da sempre un banco corallino od uno scoglio, anziché un’isola (perciò più soggetta alla sparizione dalle carte e dalla superficie terrestre).
Lei dice:

[…] e pure è oggi di moda la sparizione degli atolli sommersi dall’aumento del livello marino, ma non pare possibile per Mompracem, che, a quanto il suo inventore ci ha detto, è piuttosto elevata, con un'alta rupe, che non si poteva sommergere.

E ribadisce:

Mompracem, il piccolo regno di Sandokan, non è “un isolotto molto piccolo”, come Fragale invece suppone che sia. […] Ma più volte Salgari fornisce particolari importanti, e soprattutto ne Le Tigri di Mompracem: la baia principale, vigilata dalla rupe a picco […]; le fitte foreste dell’interno…

Ma come? Ma come si può contrapporre ad un’ipotesi, provata o provabile, quanto sgorga dalla finzione letteraria? Come si può considerare un presupposto valido la descrizione fatta da Salgari quando, come ogni degno narratore, piegava nel patto narrativo tempo, storia e geografia?
Lei incappa così nello stesso errore commesso da Raiola, il quale si recò in Borneo a cercare un’isola, poiché nei romanzi si parlava dell’isola di Mompracem.
Non sarà che ha contratto i sintomi della geografia ideologica di Olschki, che invece lei ha diagnosticato a me a p. 59?
Il toponimo Mompracem, la sua ubicazione e attuale collocazione, devono essere concetti tenuti separati dalla sua morfologia che, per ovvie ragioni, è frutto della fantasia del romanziere. O di ispirazione, come ha ben dimostrato riportando il resoconto di Giordano che parla di Banguey.
Per Mompracem - per il suo aspetto, intendo -, io opterei tuttavia per spunti un po’ più “famosi”, rintracciabili nelle opere di autori stimati dal Salgari.
Per esempio l’isola misteriosa di Verne (la cui trama riecheggia anche nel romanzo “bornese” I Robinson italiani), difficile da trovare perché non segnata sulle carte (per caso Salgari già aveva notato che Mompracem ora appariva sulle mappe e ora no?), dove risiede il Capitano Nemo, un principe-pirata orientale, avverso all’Inghilterra e che ha avuto la famiglia massacrata: caratteristiche uguali a quelle di Sandokan.
Oppure la Montecristo di Dumas, che ha un picco di circa 600 m, già sede di pirati nel XVI secolo. Montecristo è l’isola della vendetta (come, in certa misura, Mompracem lo è per la Tigre della Malesia), la vendetta di Edmond Dantès che è un trasformista (come Yanez) e la descrizione di un suo alterego, il marinaio Sinbad:

Indossava un costume tunisino, vale a dire una calotta rossa con una lunga nappa di seta turchina, una veste di panno nero tutta ricamata d’oro, pantaloni color sangue di bue larghi e gonfi, le ghette dello stesso colore orlate d’oro come la veste, ed i pianelli gialli, una magnifica sciarpa di cachemir e gli cingeva la vita al disopra dei fianchi, e un piccolo cangiar acuto e ricurvo passava dentro la cintura.
Quantunque di un pallore quasi livido, quest’uomo aveva una fisionomia molto bella: gli occhi erano vivi e penetranti, il naso dritto […] i denti bianchi come perle spiccavano mirabilmente sotto i baffi neri.


Chiudo qui.
La prego non sia troppo in collera con me. Quello che ho esposto sopra, se pure con il nefasto impeto della passione (ma che alla mia età si può perdonare), non lo consideri come un’aggressione, ma come lo sforzo di un appassionato salgariano che consacra le proprie forze per il suo autore favorito.
E che, forse diventato raro oggigiorno, crede ancora che dal dibattito fiorisca quanto di meglio possa esserci nel confronto di opinioni.

Voglia gradire i miei più cordiali saluti.

Fabio Negro

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