Diario di bordo tenuto dall’aspirante Capitano di Lungo Corso
Negro Fabio
Imbarcato sulla nave “Holden II

A documentare il primo viaggio non più fatto
con la sola fantasia, inizio di una vita
avventurosa solcando i mari d’acqua e di inchiostro.

In memoria del mio Capitano.



… la motolancia cozzò cupamente contro la banchina, trascinata dalle ultime battute dell’elica, mentre il prodiere gettava un ormeggio provvisorio. Sbarcammo, trascinandoci dietro i grossi zaini carichi dell’indispensabile e comunque molto pesanti.

Tutti i timonieri delle barche avevano provveduto ad abbassare opportunamente le passerelle perché gli equipaggi potessero salire comodamente anche così carichi. La Holden II era un grazioso clipper di trentasei piedi, saldo di scafo, con una velatura nuovissima e le manovre non consunte. Io e i miei camerati fummo imbarcati su questa.

Per quella mattina fu tutto, la partenza era ritardata dalle incessanti raffiche di vento e dalle onde che s’infrangevano contro il braccio dell’avamporto. Bisognava inoltre aspettare il grosso della flotta, ancorata a Viareggio. Tra quelle navi si trovava il Commodoro, che per quel giorno non autorizzò la partenza. Nondimeno io sollecitai il Capitano a prendere il largo per tastare l’Oceano e, aiutato da altri ardimentosi, riuscii a deciderlo. Verso le quattro pomeridiane la Holden mise la prora al mare. Avevamo vento e mare al mascone, quindi non si ballava molto. Però lo schioccare furioso delle manovre correnti, il continuo smagrimento delle vele e gli schizzi che balzavano in coperta, davano a intendere che il tempo era cattivo e poteva ridondare, ossia cambiare. Per giunta la sera si mise a piovere, rovinando l’intera giornata. Dormimmo in porto, quella sera, cullati dalle onde che entravano calmandosi in mezzo ai pontili.

La mattina seguente il tempo era migliorato, ma quando salii in coperta, molto presto essendo mattiniero, un buffo d’aria satura di esalazioni salmastre mi dissipò i vapori del sonno, facendomi comprendere però che al largo il mare non era tranquillo. Quando buttai il sigaro semispento mi accorsi che il resto della flotta, quella viareggina, stava entrando in porto. Mi confortò quella visione, credendo io possibile che quel giorno si potesse partire. Il convoglio doveva partire ieri da Livorno, con destinazione l’isola di Capraia, proseguire per la Corsica, toccando Bastia e Macinaggio, arrivare al porto di Marciana Marina, all’Elba e ritornare all’ancoraggio primiero. Ma i capitani decisero di accorciare il viaggio, non avendo più che quattro giorni a disposizione. Fu deliberato che la squadra doveva far rotta direttamente sull’Elba, quindi ritornare all’isola di Capraia, circumnavigarla e tornare a Livorno.

Finita la colazione (in marina la colazione è il pranzo) le dodici navi sciolsero gli ormeggi e dettero su l’ancora, uscendo in mare. Quale stupendo spettacolo e, nel contempo, spaventoso si presentò presto ai nostri occhi. Montagne d’acqua si rotolavano per l’oceano, venendo talvolta a sbandare la Holden; ventate di parecchi nodi minacciavano di strappare le vele, tesate al massimo. L’acuta prora scavalcava le creste bianchissime e scivolava nei cavi da cui pareva non dovesse più uscire. La nave rollava e beccheggiava disperatamente, e fu necessario prendere una mano di terzaroli alla randa e riavvolgere parte del fiocco. Le crocette si tuffavano in acqua, ora a dritta e ora a sinistra, mentre veri bracci d’acqua salata si rompevano sulla poppa della Holden. Issai sullo strallo di poppa la bandiera di Mompracem, poi mi misi alla manovra, quindi, vinto dall’intemperie mi issai sul piccolo cassero. Io aveva indosso una maglia di lana, insufficiente a non farmi patire il freddo e un paio di calzoni corti. Mi ero ritirato a poppa, aggrappandomi con la destra al paterazzo di bordo e con la sinistra alla battagliola. Una prima ondata coprì la poppa, investendomi in pieno. Ero ora fradicio e col vento che soffiava con punte di sessanta e perfino ottanta nodi, avevo il freddo nelle ossa. Non osavo muovermi. Non tanto per la paura di essere gettato fuoribordo quanto per quella di soffrire la nausea portata da quel movimento terribile. Mi consolavo tenendo un pezzo di sigaro spento fra i denti. E poi mi piaceva stare li, quasi a sfidare gli elementi in tumulto ed emulare il Corsaro Nero quando veniva avvolto dalle furie della natura rimanendo saldo alla barra della Folgore. Fu presa un’altra mano di terzaroli. Un altro colpo di mare. E sentivo sempre più freddo. Alla fine mi precipitai giù pel tambuccio lasciandomi cadere al pagliolo. Ero stremato e sentivo un vago senso di nausea. Ebbi tuttavia la forza di raggiungere il VHF, quando la Mozart ci chiamò, così potei a stento correggere la rotta. Come si scosse in quelle ore la Holden! Però, sotto l’abile mano del suo timoniere giunse felice nel porto dell’isola d’Elba, con la gloriosa bandiera di Sandokan schioccante maestosamente.

Il giorno seguente il Commodoro ispezionò la flotta, controllando minutamente la pulizia esterna e interna. Quando si era in franchigia tutti combattevamo la noia pescando lungo la banchina. Un mio camerata riuscì a prendere una decina di luridi muggini, pesci che si nutrono di sporcizie ma, pensando a cosa mangiavano i marinai in tempi remoti, li facemmo passare, digerendoli più o meno bene. Avendo frequentato l’Alberghiero fui nominato gran cuciniere di bordo, in carica per tutta la settimana. Il pomeriggio salpammo alla volta di Capraia. Il vento era fresco ma indebolito, il mare piatto e sfollato. Riuscimmo anche a vedere una coppia di delfini. La sera era piacevole, calda ma rinfrescata da una brezza di mare. Mi calcai il cappello (ormai famoso) in testa, mi rassettai la camicia, accesi un sigaro e mi incamminai per un sentiero che si arrampicava per tutta l’isola. Non tornai che per preparare la cena, avendo anche ospiti, due capitani. La notte la passai discutendo animosamente con i professori e con i capitani, sorseggiando del profumato ginepro.

L’indomani, con mare calmo e vento assente, iniziammo a circumnavigare l’isola, visitando la bella Cala Rossa e approfittando per prendere un paio di lezioni di carteggio. Anche quella notte la passai come la precedente, combattendo con molti per offrire o farsi offrire.

Alle prime luci dell’alba, la Holden II levò l’ancora, per intraprendere il viaggio di ritorno. In coperta solo io il capitano e il timoniere. I marinai, coricati a recuperare il sonno perso. Non un filo di vento scuoteva la grande massa d’acqua  e fummo costretti ad un noioso viaggio a motore. Livorno era in festa al nostro arrivo, dovendosi svolgere, in quei giorni, il Trofeo dell’Accademia Navale. Molti non resistettero alla tentazione di tornare a casa a dormire, per poi tornare il giorno dopo per la regata. E’ costume del Nautico, alla fine di quest’esperienza denominata “Settimana Azzurra”, fare una regata o meglio, un match-race. Si deve sapere che l’Istituto Tecnico Nautico “Artiglio” di Viareggio ha una sede associata, quella di Livorno, “Alfredo Cappellini”. In sostanza è una competizione tra le due scuole, un giorno atteso con ansia. E venne quel giorno, con rapidità sorprendente! Tutti i marinai schierati sulla banchina, davanti alle navi. Ora saranno scelti gli equipaggi, un momento supremo. Io ne facevo parte, un grande onore per me. Beh! Purtroppo è anche costume che i viareggini vincano ogni anno. Infatti al primo giro di boa eravamo in testa, poi siamo doppiati, quindi privi dell’uso del timone, minacciamo di speronare l’altra imbarcazione, un vero principio di abbordaggio!

Un’altra sconfitta scritta sull’albo degli studenti del Nautico di Livorno. Poco dopo venne deciso chi doveva recarsi sull’ammiraglia per sostenere l’esame del Commodoro, usandosi eleggere il Cadetto dell’Anno di Livorno e di Viareggio e un “Supercadetto”. Il nostro istituto partecipava alla “settimana” con due barche quindi due ragazzi vennero inviati all’Ammiraglio. Stavamo per ritornare agli ormeggi quando una chiamata al VHF, da parte dell’ammiraglia ci portò a riabbordarla. I due ragazzi erano della stessa barca, un errore commesso involontariamente, ma che andava riparato. Tutti girarono gli occhi su di me.

– Tocca a te, Sandokan, è il tuo momento ! – mi dicevano.

Rimasi in silenzio. In quel momento maledii i giorni in cui diedi sfoggio della mia grande conoscenza marittima, appresa sui libri di Salgari. Il Commodoro era una persona che incuteva timore, non scherzava quasi mai, ed era senza scrupoli.

Le due navi vennero bordo contro bordo. Il rumore prodotto dall’urto mi fece scuotere dissi un – Sia ! – frettoloso e scavalcai la battagliola, trovandomi sul ponte “nemico”. Vidi l’alto comando seduto sul cassero. Il Commodoro, circondato dai capitani e dai timonieri più rinomati. La prova consisteva nel condurre la nave per un certo tratto eseguendo le manovre dettate dal Commodoro. Quando uno era al timone gli altri fungevano da equipaggio. Venne il mio momento. Stentava a trattenere i fremiti e mi asciugavo di frequente il sudore del volto. Stavo canticchiando - . . . il mare no non vi tradirà ! . . . il vento amico vi aiuterà ! . . . Hombres del Mar ! – che mi era rimasta in mente poco prima di partire. Dovetti fare alcune virate e alcune strambate, però mi divertivo e mi riusciva facile, la barca portava bene, forse meglio che sotto il comando di altri camerati, poi mi venne chiesto:

- Ascolta ! – mi disse il Commodoro – sapresti dare disposizioni per prendere una mano di terzaroli? -

Dissi un Sì strozzato e iniziai con voce affannata:

- Si molli l’amantiglio e la drizza della randa, si porti la nave con vento in prua e la si abbatta per un pezzo. Si cazzino le borose e si riarmi la vela. -

Quel  - bene – che disse mi fu di conforto. Poco dopo udii un tonfo, a cui non prestai la mia attenzione, essendo questa raccolta per altri scopo. Il professor Simonti, a cui voglio un gran bene, che era dietro di me, mi dette un calcio. Mi voltai. C’era un parabordo in mare. Capii che cosa rappresentava, un uomo in mare, da andare a raccogliere!

Senza farmi prendere dal panico della fretta e col “senno salgariano” ordinai:

- Uomini ai posti! Pronti ai bracci delle vele! Prepararsi alla virata! Un uomo col mezzo marinaio! -

Il galleggiante fu raccolto con destrezza e venni eletto Cadetto dell’Anno di Livorno. La buona stella del Capitano era con me!

E’ davvero un’esperienza favolosa questa, dove si riscoprono dei valori ormai persi, a partire dal lavoro di squadra in navigazione, alla competizione della regata passando per il ritrovare sicurezza in se stessi quando il tempo minaccia di ucciderti. Personalmente è stata la mia prima esperienza in mare e spero di viverne altre magari in luoghi più cari.

Ne approfitto per pubblicizzare la mia scuola, che ancor oggi è poco conosciuta:

ISTITUTO TECNICO NAUTICO STATALE
”ALFREDO CAPPELLINI”
PIAZZA GIOVINE ITALIA, 1
57126 LIVORNO
TEL. 0586-898158 FAX. 0586 –898063
www.comune.livorno.it/nautico/nautico.html
nautico@comune.livorno.it



Fabio Negro

Appendice: alcune foto della navigazione

Foto 1  : Un immagine della bandiera ancora integra sul pavimento di casa. Il maltempo della settimana ha poi conciato questo talismano malissimo.

Foto 2  : La rossa bandiera issata sulla Holden II durante la notte.

Foto 3  : La Holden in navigazione da Livorno verso l’Elba, quando ancora il tempo non era crollato.

Foto 4  : Una veduta “montana” del porto di Capraia.

Foto 5: La strada che porta al penitenziario.

Foto 6: La Mozart.

Foto 7: Toh! Sembra proprio un praho, pensavo fosse venuto per prendermi ma... niente!

Foto 8  : La flotta.

Foto 9: Non è San Giovanni de Luz né San Felipe. E' un vecchio bastione di difesa costiera contro i pirati barbareschi e i corsari della mezzaluna. E' comunque meglio levare la bandiera di Sandokan!

Foto 10: Lo splendido scenario di Cala Rossa, le cui acque sono momento di svago per noi marinai.

Foto 11:  Pronti per circumnavigare l’isola!

Foto 12: L’isola d’Elba nella scia, così avvolta da nebbia ricorda lo scoglio di Mompracem.

Foto 13: La cerimonia di premiazione. ( da sin. Vicepreside di Viareggio, Io, il Commodoro).

Foto 14: L’Amerigo Vespucci, nave scuola degli ufficiali della Marina Militare.

Foto 15: Il Palinuro, nave scuola dei sottoufficiali.


Appunti di viaggio

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