Amori in tempi di guerra



Da Yokohama a Port Arthur. Shima e Naga sulle tracce di Boris.

Tay-See e Josè (La Rosa del Dong Giang), Than-Kiù e Romero (Le stragi delle Filippine e Il Fiore delle perle) sono i protagonisti di alcuni romanzi imperniati sul legame sentimentale tra una asiatica e un bianco (sappiamo quanto Salgari prediligesse queste accoppiate di razze diverse!). Amori sbocciati tra giovani appartenenti a Paesi nemici, e per questo amori impossibili o come minimo contrastati.
Nel 1904, tre anni dopo la pubblicazione del Fiore delle perle, vedeva la luce sotto lo pseudonimo “Cap. Guido Altieri” un nuovo romanzo salgariano di ambientazione estremo-orientale: L’eroina di Port Arthur, che come i precedenti due del “Ciclo delle Filippine”, in cui vediamo gli Stati Uniti d’America disputare alla Spagna le sue colonie nell’arcipelago asiatico, ha sullo sfondo un altro conflitto: quello rinfocolatosi tra il 1904 e il 1905 tra l’Impero Russo e l’Impero giapponese a motivo dei rispettivi interessi sulla Manciuria orientale.
Due stavolta i personaggi femminili, le giapponesi Naga e Shima. Inizialmente rivali perché innamorate dello stesso uomo, il tenente della Marina imperiale russa Boris, dopo il suo abbandono sono accomunate dai medesimi sentimenti di vendetta e di amor patrio. Il destino dei tre si consumerà a Port Arthur nelle cui acque la squadra russa verrà annientata da quella giapponese, meno numerosa ma più agguerrita, più moderna e dotata di armi più micidiali, dando occasione a Salgari di impegnarsi in una epica descrizione di battaglia navale.

Come al solito nei nostri itinerari, ripercorriamo i luoghi principali descritti nel romanzo con uno sguardo a come essi si presentano oggi. A cominciare dalla Yokohama dei primi del Novecento, dominata dal possente daimio Foyama, padre di Shima:

Sul porto regnava un profondo silenzio, rotto solo di quando in quando dalla canzone di un battelliere e dai dolci suoni di una stramisun, quelle chitarre dalle core di seta che sono così usate dai figli del Sol Levante. In lontananza invece, al di là della Kai-gen-dori (via del mare), s’udiva il sussurrìo prodotto dal grosso della popolazione affollantesi nelle arene, nei teatri notturni e nelle splendide case di thè. Era là che batteva il cuore della popolosa città. […] I portatori attraversarono a passo di corsa le gettate che erano quasi deserte e s’inoltrarono nella Sciù-kan-matci, una delle più larghe vie della città, tutta splendente di luci ed affollata.

Dopo Kai-gen-dori e Sciù-kan-matci, il terzo sito citato da Salgari è la Ban-ten-dori, «uno dei sobborghi più pittoreschi di Yokohama». (In una foto d’epoca riportata nell’edizione Viglongo dell’Eroina si ammira una via di questo sobborgo: bassi edifici dai tetti a spioventi appaiono ornati da file di palloncini; in fondo, si profila una costruzione a torre con orologio).
L’azione si sposta poi in via Ota-Matri, sede della delegazione russa, dove Shima e suo fratello Sakya, dopo il suicidio del padre con la cerimonia dell’hara-kiri, hanno un drammatico confronto con Boris, colpevole ai loro occhi di aver rotto il fidanzamento, anche se costrettovi dalla dichiarazione di guerra tra le due potenze: vorrà il tenente russo lavare l’onta causata al gran daimio imitando il suo gesto estremo? Estraneo a tale “barbara” usanza orientale, il giovane rifiuta: è però disponibile a misurarsi in duello con Sakya nel magnifico parco dei Kuwa-no-ki: «così chiamato – spiega Salgari – perché costituito esclusivamente da bellissimi e frondosi gelsi neri». Ma il duello va in fumo per l’improvvisa partenza di Boris, richiamato dal dovere a bordo della sua nave in partenza per Port Arthur.

Oggi Yokohama è un altro mondo rispetto allo schizzo fornito da Salgari. L’antico villaggio di pescatori della fine del periodo Edo (fino al 1868 nome dell’attuale Tokyo), diventato nel 1859 il principale porto giapponese per il commercio estero, ora fa parte con Tokyo della megalopoli più popolosa del mondo, comprendendo ben 33 milioni di abitanti! Sorge su una penisola della maggiore delle isole nipponiche, Honsu, ed è una vera selva di avveniristici grattacieli sui quali svetta la Landmark Tower, fino al 2014 l’edificio più alto del Giappone (296, 33 metri); conserva invece il suo primato di faro più alto del mondo la Torre marittima coi suoi 106 m. Altre attrazioni turistiche oltre al quartiere dei grattacieli o Minato Mirai 21, sono il quartiere cinese (il più grande del Giappone, dal 1859), i suoi musei e i bellissimi parchi e giardini (oltre un centinaio!).
Dopo il disastroso terremoto del 1923 e i bombardamenti incendiari Usa dell’ultima guerra, di antico è rimasto ben poco a Yokohama. Dell’epoca di Salgari sopravvive tuttavia, fra le strutture portuali, il cosiddetto Red Brick Warehouse: una struttura polivalente adibita ad usi commerciali e ad eventi di carattere culturale, che utilizza due edifici in mattoni rossi dell’antica dogana. Il n. 2 fu costruito nel 1911, l’anno della morte dello scrittore. Negli immediati dintorni della metropoli merita senz’altro una visita il bellissimo tempio buddista Shomyo-Ji, eretto nel 1258 all’interno di un giardino di inarrivabile grazia, come solo in Giappone è possibile ammirare.
Irriconoscibile rispetto all’epoca del romanzo è anche Port Arthur, oggi Lüshunkou o Lüshun, sulla punta estrema della penisola di Liaodong: quello che era poco più di un villaggio di casette ad un piano dai tetti spioventi, dotato però di possenti opere di difesa a motivo della sua posizione strategica sul Mar Giallo, è oggi una città di circa 220 mila abitanti: i soliti grattacieli, meno belli a dire il vero di quelli di Yokohama, ma in compenso molti monumenti e luoghi d’interesse relativi al conflitto russo-giapponese, come le fortificazioni portuali e il Museo della battaglia di Port Arthur.
Se ci spostiamo a Yokosura, luogo non menzionato nel romanzo, è perché in questo grande porto militare distante 65 chilometri da Tokyo è ormeggiata la Mikasa, la famosa nave ammiraglia di Togo Heihachiro citata da Salgari quando la squadra giapponese coglie di sorpresa le navi russe nella rada di Port Arthur (nella successiva battaglia di Tsushima, avrebbe cooperato alla distruzione della flotta russa del Baltico): salvata dallo smantellamento, luccicante dopo i restauri nei suoi due fumaiuoli e nelle torrette corazzate, è oggi monumento nazionale. Sul molo accanto si erge la statua bronzea dell’ammiraglio Togo: uno dei massimi eroi della Marina giapponese, che si considerava la reincarnazione di Horatio Nelson.

Oreste Paliotti


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