Sottoripa e ciupin



Una puntata a Genova dall’isola dei Robinson

«Il Liguria era salpato da Singapore il 24 agosto del 1840 diretto ad Agagna, la città più popolosa delle isole Marianne, con un carico di cotoni lavorati destinati ai capi di quelle isole, ed una grossa partita d'armi e sei quintali di polvere per i presidii spagnoli…».

È un brano iniziale del romanzo I Robinson italiani del 1896, esplicito omaggio di Salgari alla sua patria assieme a La Bohème italiana del 1909. Purtroppo un triste destino attende quel brigantino a palo con equipaggio formato quasi tutto da italiani: scenderà infatti negli abissi del Mar di Sulu, presso l’Arcipelago delle Filippine, in seguito all’esplosione delle polveri per l’incendio provocato da alcuni marinai ammutinati. Gli unici superstiti, sbattuti dalle onde sulla costa di un’isola sconosciuta, sono due marinai: il genovese Enrico e il mozzo Piccolo Tonno nativo d’Ischia, insieme a un passeggero, il veneziano Emilio Albani, alter ego dello stesso scrittore, che si rivelerà prezioso per la loro sopravvivenza in quella che diverrà una seconda patria, a motivo delle sue conoscenze naturalistiche.

Ma non anticipiamo i tempi e ritorniamo a quando i tre naufraghi, ancora aggrappati ad un rottame, dubitano della loro salvezza. È allora che il giovane marinaio Enrico dà l’addio alla sua Genova, desolato per non poter più rivedere «papà Merlotti, il taverniere di via Sottoripa, mio buon amico». Più tardi, sull’isola in cui i novelli Robinson devono industriarsi per sopravvivere, il medesimo Enrico rimpiangerà il ciupin (giupin per Salgari), ossia la zuppa alla genovese, salvo poi a gustarla grazie alle all’intraprendenza del signor Albani che riesce perfino a fabbricare le pentole.

Sottoripa e ciupin: che ne dite di una puntata a Genova per conoscere il luogo e la vivanda citati nel romanzo, e che Salgari doveva conoscere bene? (Vorrà dire che all’isola dei Robinson faremo ritorno in altra occasione).
Nel centro storico medievale dal capoluogo ligure, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, Sottoripa o palazzata di Sottoripa è una vasta area che si estende lungo piazza del Caricamento e l’area del porto antico da piazza Cavour, sede del mercato del pesce, al Ponte Calvi. Vi si trovano i più antichi porticati pubblici esistenti in Italia: vennero infatti iniziati fra il 1125 e il 1133, a mo’ di difesa delle fondazioni delle case della zona di Ripa, un tempo lambite dal mare, ed eretti quindi “al di sotto della riva” (di qui il nome Sottoripa).

Nato in funzione dello spazio necessario ai commerci lungo il fronte del porto, questo popolare e vivace agglomerato urbano, celebrato in tante canzoni in lingua genovese, si caratterizza per le architetture il cui stile risente dei traffici della potente Repubblica marinara con le sue colonie mediorientali, e per i fondaci, ossia gli antichi magazzini annidati sotto le volte dei portici in cui venivano stipate le mercanzie in arrivo e in partenza. La Genova multietnica di oggi non è da meno di quella di un tempo, e portici e carrugi di Sottoripa traboccano di botteghe, friggitorie e negozi alimentari gestiti dalla comunità indiana, centroamericana, maghrebina e africana. Una miriade di taverne e osterie (inutile cercare quella di papà Merlotti!) riempiono di profumi o di acri sentori di pesce le strette, oscure vie, sempre animatissime.

A proposito di certi languori che può provare lo stomaco, vediamo di informarci, presso uno di questi servizi di ristorazione, in cosa consiste il ciupin.
Per questa zuppa di pesce (in origine un piatto povero diffuso nei paesi della Riviera) si utilizzano pesci misti “economici”, molluschi e crostacei, con l’aggiunta di prezzemolo, cipolla, aglio, pomodori, olio, sale, pepe, vino bianco e, volendo, alcune acciughe salate.
La preparazione va fatta con due pentole in cui si cuociono gli ingredienti, distinti secondo precise indicazioni di genere e di tempo di cottura, pena il fallimento di questa ricetta. Il risultato è un brodetto da versare nel piatto con pane abbrustolito (in origine il “biscotto di pane” genovese, una sorta di galletta usata dai marinai). Chi ha assaggiato il giupin fatto a regola d’arte, specie se innaffiato da un Bianco del Tigullio, assicura di aver trovato difficilmente qualcosa di così gustoso.
Il buon Emilio doveva saperne qualcosa!

Oreste Paliotti


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