Le caverne di Balambangan



L’isola che fa da scenario a “Una vendetta malese”, tuttora quasi inesplorata, è ricca di risorse naturalistiche che attendono di essere valorizzate.

Uno dei racconti salgariani più drammatici e sanguinari, nel quale lo stesso autore compare come personaggio, è certamente Una vendetta malese, pubblicato per la prima volta nel 1909 in appendice al La Bohème italiana. La vicenda si svolge a Balambangan, un’isola dell’Oceano Indiano vicina alla punta nord del Borneo, dove un attempato marinaio genovese, il capitano Parodi, ha fatto fortuna con le sue piantagioni di gomma, raggirando abilmente il rajah locale e schiavizzando gli abitanti cinesi e malesi. Senonché il suo matrimonio con una bellissima dayaka molto più giovane di lui ha scatenato la violenta ribellione dei nativi, soprattutto quella di Padanga, spasimante della ragazza deciso a vendicare insieme al suo l’onore della propria gente. Sentendosi accerchiato, Parodi cerca aiuto nell’amico Salgari, col quale è in rapporti commerciali, sapendolo imbarcato nei paraggi. Ma il suo destino è segnato: in un crescendo di tensione, il piantatore vede incendiati i possedimenti e durante la fuga, a un solo passo dalla salvezza, cade sotto il kriss di Pandanga, reso amok (amoc per Salgari), cioè in stato di follia omicida, dall’azione dell’oppio.
Gli scenari naturali sono qui eccezionalmente tratteggiati da Salgari molto sobriamente, dovendo stare alle misure di un racconto; in compenso, dobbiamo riconoscerlo, riesce egregiamente a creare l’atmosfera da incubo che prepara la tragica conclusione.

Era una splendida mattinata, chiara, luminosissima, con mare quasi tranquillo e fresca brezza. Una moltitudine di uccelli marini ci svolazzava intorno senza dimostrare alcun timore, pronti ad aspettare, se l’avessi voluto, il mio colpo di carabina. In lontananza, verso l’est, sfumavano le alte coste del Borneo sopraccaricato dei monti Cristalli, una catena imponente che gode fama di essere la più lunga e la più splendida di tutte quelle che sorgono nelle isole indo-malesi.

Questo placido paesaggio, descritto mentre Salgari col suo mozzo dalmata va in soccorso dell’amico a bordo di una scialuppa guidata da infidi battellieri malesi «brutti da far paura», non fa ancora indovinare l’imminente escalation di violenza. Solo l’uccisione di un grosso uccellaccio acquatico, cui segue l’assalto di un enorme squalo, anch’esso destinato ad una brutta fine, fa presagire prossimi spargimenti di sangue.

Dopo dieci ore di faticosa navigazione giungemmo finalmente in vista dei Balambangan. Ci apparve quasi improvvisamente su un magnifico sfondo d’oro, con un gigantesco scenario di verzura, formato da alberi giganteschi.

Altre fugaci pennellate naturalistiche punteggiano la disperata fuga di Parodi, Salgari & C. verso la salvezza, dopo l’incendio della fattoria:

Raggiunta l’estremità dal giardino sostammo un momento, poiché dinanzi a noi si estendevano dei grossi banani e dei pombo giganteschi, i cui tronchi erano avvolti da enormi gruppi di pepe selvatico.[...] Di passo in passo che avanzavamo la foresta si sviluppava più rigogliosa, anzi si potevano chiamare due foreste, poiché mentre i giganti spingevano a cinquanta ed anche a sessanta metri le loro cime coronate di immensi ciuffi di spate, alla loro base i cespugli si riunivano a prendere anche loro un buon posto.

Si riduce a questo quanto Salgari ha da dire su Balambangan. Ma noi in questo itinerario vogliamo saperne di più. Come prima cosa appuriamo che l’isola dista circa venti chilometri da Kudat, porto del Sabah (secondo Stato della Malesia dopo Sarawak col quale confina a sud-ovest, nella parte settentrionale del Borneo) e circa tre da Banggi, la più grande isola malese. Primo avamposto britannico nel 1761 per i commerci con la Cina, l’isola venne abbandonata dopo soli due anni a causa delle ricorrenti scorrerie piratesche. Da allora la vita dei pochi nativi attualmente residenti è cambiata ben poco.
Inesistenti i collegamenti dal Borneo: mancano traghetti e il noleggio di un battello dall’isola di Banggi o da Kudat ha costi proibitivi. Sull’isola non esistono strutture decenti per chi voglia fare turismo: si trova solo qualche modestissimo alloggio su uno di quei pittoreschi villaggi su palafitte descritti in vari romanzi da Salgari.
Eppure l’isola non manca di attrattive per chi è interessato alla cultura locale e alle bellezze naturali: sotto quest’ultimo aspetto, anzi, è un paradiso ancora in gran parte inesplorato. Una menzione particolare va fatta delle caverne disseminate nel suo territorio: una ventina quelle note, ma potrebbero essercene molte di più nella parte inesplorata. Esse presentano splendide formazioni calcaree, costituiscono l’habitat di rare forme di vita animale e vegetale ed hanno restituito reperti risalenti al Pleistocene. Purtroppo un sito come questo, che avrebbe tutte le caratteristiche per diventare un parco naturale protetto, e quindi un potente attrattore turistico da cui potrebbe trarre beneficio l’economia locale, è minacciato dall’indiscriminata estrazione di calcare attuata dal governo del Sabah. Occorrerebbe qualcuno che, consapevole delle ricche risorse naturali di Balambangan, sapesse come valorizzarle. Uno come Parodi, ad esempio!

Oreste Paliotti


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