La rivolta dei Sepoy nelle pagine de Le due tigri di Emilio Salgari
di

Corinne "La Perla di Labuan" D'Angelo



Salgari parla del "Grande Ammutinamento" nel romanzo "Le due tigri", nel quale si narra di come Darma, la figlia di Tremal-Naik sia stata rapita dalla sanguinaria setta dei Thug e suo padre, aiutato dai tigrotti di Mompracem, corra a salvarla. Le prime notizie sulla rivolta compaiono nel capitolo 24: Surama avvisa i tigrotti che devono agire in fretta per salvare Darma, la figlioletta di Tremal-Naik, perche' i Thug stanno per disperdersi per raggiungere gli insorti a Delhi e Lucknow. E' la prima a narrare dell'insurrezione, e racconta che i reggimenti dei "Sepoys" hanno fucilato i loro ufficiali, che a Cawnpore ed a Lucknow hanno trucidato tutte le famiglie inglesi e che anche la Rani del Bundelkan (Ihansie) ha inalberato lo stendardo della rivolta dopo aver fatto fucilare la piccola guarnigione inglese.

Piu' avanti, nel capitolo 28, Salgari fa un aggiornamento sulla rivolta, rinnovando il punto che tutta l'India settentrionale e' in fiamme (in realta' non tutta l'India settentrionale partecipo' alla rivolta, in quanto Punjab e Bengala non ne furono interessati), e come Delhi sia gia' in mano agli insorti e pronta alla resistenza. Gli inglesi stentano a sedare la rivolta e l'antica dinastia del Gran Moghul e' stata ricollocata sul trono. Parla del generale Bernard che ha concentrato le truppe ad Amballa di come gli inglesi, per arginare la lotta, hanno teso un forte "cordone di truppe" fra le citta' di Gwalior, Bartpur e Patiallah. Man mano che prosegue il viaggio di Sandokan, dei suoi amici Tremal-Naik e dei tigrotti, Salgari prosegue a narrare gli eventi della rivolta, di come Cawnpone e Luknow siano state sgombrate e come tutta la rivolta si concentri in Delhi (anche in questo caso vi e' un'imprecisione nelle notizie salgariane, in quanto fu Delhi a cadere per prima, e solo successivamente caddero, ultime roccaforti, Luknow e Cawnpore), proprio dove devono entrare Sandokan e i suoi compagni. Per giungervi i nostri eroi sono costretti a compiere un lungo giro, poiche' le strade e le citta' sono bloccate dai rivoltosi o dagli inglesi, anch'essi in armi, e quindi e' impossibile un tragitto in linea retta.

Il capitolo 29 reca, proprio come titolo, la dicitura "L'insurrezione indiana", e infatti le prime pagine sono dedicate da Salgari a fare il punto storico della situazione. Ecco cosa scrive:


L'insurrezione indiana del 1857, se ebbe una durata brevissima fu nondimeno sanguinosissima e fece battere il cuore dei conquistatori, tanto piú che nessun inglese l'aveva nemmeno lontanamente prevista. La ribellione di Barrampore, scoppiata alcuni mesi innanzi e repressa in fretta e anche troppo ferocemente dalle autorità militari, non era stata che la prima favilla del grande incendio che doveva devastare gran parte dell'India settentrionale. Già da tempo un profondo malumore, abilmente dissimulato però, regnava fra i reggimenti indiani accantonati a Merut, a Cawnpore ed a Lucknow, feriti nel loro orgoglio di casta dalla nomina di qualche subadhar e jemmadar di rango inferiore e anche dalle voci sparse ad arte da emissari di Nana Sahib, il bastardo di Bitor, che gli inglesi davano ai soldati indú cartucce spalmate con grasso di vacca ed a quelli di fede mussulmana con grasso di porco, un'atroce profanazione sia pei primi che pei secondi.
L'11 maggio, improvvisamente, quando meno gl'inglesi se lo aspettavano, il 3° Reggimento di cavalleria indiana, accantonato a Merut, città prossima a Delhi, pel primo dà il segnale della rivolta, fucilando tutti i suoi ufficiali inglesi.
Le autorità militari, spaventate, tentarono subito di reprimerla, incarcerando i ribelli, ma la sera del 10 due reggimenti di cipayes, l'11° ed il 12°, prendono le armi e obbligano i loro capi a scarcerare i detenuti e altri 1200 rivoltosi. Quell'atto di debolezza fu fatale perché la notte istessa i cipayes ed i cavalleggeri si gettarono furiosamente sui quartieri europei incendiandoli e massacrando senza compassione le mogli ed i figli dei funzionari inglesi e degli ufficiali. Simultaneamente si ribellavano le guarnigioni di Lucknow e di Cawnpore, fucilando i loro superiori e trucidando quanti europei si trovavano in quelle due città, mentre la Rani di Jhansie, una bellissima e coraggiosa principessa, inalberava lo stendardo della rivolta massacrando la guarnigione inglese.
Le autorità militari, sorprese da quello scoppio tremendo, si erano trovate lí per lí impotenti a far fronte all'uragano, non disponendo d'altronde di forze sufficienti. Si limitarono a tendere un cordone militare fra Gwalior, Bartpur e Pattiallah, sperando d'opporsi ai ribelli, che si erano concentrati, sotto gli ordini di Tantia Topi, uno dei piú abili ed audaci condottieri indiani, che doveva piú tardi far stupire anche gl'inglesi colla sua ritirata attraverso il Bundelkund. Non riuscirono che in parte al loro scopo, poiché gli insorti, dopo d'aver uccisi tutti gli europei, già alla mattina dell'11, in duecentocinquanta si gettavano su Delhi, trascinando nella rivolta il 34° reggimento dei cipayes che aveva già fucilati i suoi ufficiali. Gli europei, scampati alle stragi di Merut e di Allighur, vi si erano rifugiati. Il luogotenente Willoughby, comprendendo che stavano per venire trucidati, li accolse nella torre dello Stentoredo dove organizzò una disperata resistenza.
Vedendosi assalito da tutte le parti, quel valoroso, con un sangue freddo ammirabile, diede fuoco alle polveri, facendo saltare piú di mille e cinquecento assedianti e, approfittando della confusione, riusciva a condurre ancora in salvo le donne, i fanciulli ed i vecchi, dirigendoli parte a Carnal e parte a Amballah ed a Merut che erano state sgombrate degl'insorti. Fu allora che accorse in Delhi il reggimento ribelle d'Allighur, il quale s'affrettò a proclamare un re scelto fra i discendenti della vecchia dinastia del Gran Mogol, proclamazione che fu festeggiata col massacro di cinquanta europei e dei loro figli che si erano barricati nel palazzo reale.
Furiosi combattimenti si erano seguiti contro le prime colonne inglesi avanzatesi nel territorio battuto dai ribelli, con varia fortuna e con molte stragi d'ambo le parti. Gl'inglesi però, affidato il comando delle loro forze al generale Bernard, poco soddisfatti delle lentezze e delle esitazioni del generale Arison, a poco a poco avvolgevano Delhi, entro cui gl'insorti si fortificavano febbrilmente, in attesa di venire assediati. Ai primi di giugno la città si poteva considerare come assediata, ma gl'inglesi non ottenevano alcun successo apprezzabile e si vedevano costretti a ritirarsi sovente dinanzi ai furiosi ed incessanti attacchi degl'insorti. Per di piú mancavano di pezzi d'assedio, soffrivano enormemente pel caldo intenso e pel clima micidialissimo.
Tuttavia l'ora triste stava per suonare pei ribelli; Delhi era ormai condannata a cadere inesorabilmente in un mare di sangue. [E.Salgari "Le due Tigri", Donath 1904]


I capitoli 32,33 e la "conclusione" sono un crescendo di avvenimenti: Salgari racconta come gli inglesi abbiamo ormai piazzato una gran quantita' di pezzi lungo tutto il perimetro di Delhi e bombardino la citta', in cui regna quasi il caos. Il crescendo dell'azione dei tigrotti e della loro lotta contro Suyodhana va di pari passo con la lotta tra inglesi e ribelli, e all'apice dello scontro, quando ormai Sandokan e compagni sono vittoriosi, ecco gli inglesi entrare anch'essi vittoriosi nella citta', ma, a questo punto, per vendetta, darsi alla distruzione e allo sterminio dei rivoltosi. E' significativa a questo punto una frase di uno degli amici di Sandokan, il tenente De Lussac, membro delle truppe inglesi lui stesso, il quale afferma, vedendo tali massacri: "Povera Delhi! Quanto sangue! Qui l'esercito inglese vi lascera' il suo onore."
Probabilmente incarna il pensiero di Salgari ed esprime tristemente quello che realmente accadde.



Alcune note sui termini usati:

Salgari adotta nei romanzi indiani (ma non solo) dei termini che possono risultare al lettore "sconosciuti" o "sbagliati", (specie se li si confronta con la letteratura "storica" e "attuale"): parole come ad es. "mogol" o "cipayes", non rappresentano degli errori da parte di Salgari, il quale, come ben si sa, utilizzo' varie fonti per la stesura dei suoi racconti. Queste "fonti" sono risultate, nel corso degli anni e della lingua in cui i testi sono stati trascritti, varie, e cosi' si possono ritrovare "grafie differenti" per la stessa parola, o esse sono frutto di "anglicizzazioni", da parte degli storici inglesi che hanno trascritto quegli avvenimenti. Fatte queste precisazioni, traslando i termini, abbiamo, per i casi citati nell'articolo: *MOGHUL = Mogol* e anche *SEPOY = Cipayes*.



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