Il Rajah di Bitor
racconto commentato e illustrato


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Il ramanandy si sedette di fronte al cancello, ai piedi d'un enorme banian sacro15 che coi suoi rami formava una piccola foresta, accordò il sitar e cominciò a suonare, traendo dall'istrumento dei suoni dolcissimi di un effetto meraviglioso. Un istante dopo il cancello si apriva, ed una bella bambina bionda, dalle carni rosee e gli occhi azzurri, di una diecina d'anni, usciva accompagnata da una serva indiana, accorrendo verso il ramanandy, il quale non cessava di suonare.
Vedendo quell'essere così spaventosamente truccato fece dapprima un gesto di terrore, ma poi, avendo scorto anche il vecchio, si fece animo e si accostò come attratta irresistibilmente da quella musica misteriosa che vibrava stranamente fra il silenzio della sera. Anche l'indiana pareva ammaliata e ascoltava il suonatore coi grandi occhi bruni dilatati, in una specie di estasi.
Il ramanandy pareva completamente assorto nel suo istrumento e si avrebbe detto che non si fosse nemmeno accorto della presenza della bambina e della sua sorvegliante. Chi però lo avesse osservato attentamente avrebbe potuto scorgere, al di sotto delle palpebre semichiuse, guizzare un lampo feroce.
La bambina a poco a poco si era seduta e così pure l'indiana. Sembravano in preda ad una dolce sonnolenza e si erano appoggiate l'una contro l'altra come per reggersi a vicenda.
Il ramanandy suonava sempre, traendo dal sitar delle note acute intercalate da note più dolci, che rapivano in estasi le due ascoltatrici. Il vecchio stesso faceva sforzi prodigiosi per non lasciarsi vincere dal sonno.
Era ben quella la musica melodiosa degli incantatori di serpenti quando vogliono far cadere in un sonno catalettico i terribili e velenosissimi cobra capelo 16ed i naia 17.


Ad un tratto la bambina e la sua sorvegliante si abbandonarono sull'erba. La musica traditrice del ramanandy le aveva vinte.
«La fanciulla è nostra» disse allora il suonatore, alzandosi. «Il principe avrà il sangue che gli leverà il mal'occhio.»
Guardò verso il bengalow e non vedendo nessuno, prese la bambina fra le braccia senza che essa aprisse gli occhi e si cacciò nella vicina foresta seguito dal vecchio che sbadigliava come se volesse slogarsi le mascelle.
Sì erano appena inoltrati nella folta boscaglia, quando udirono verso il bengalow un abbaiare acuto di cane ed un frastuono assordante di voci umane.
Gli abitanti della palazzina dovevano essersi accorti della scomparsa della bambina e si preparavano probabilmente a dare la caccia ai rapinatori.
«C'inseguono» disse il vecchio che si sentiva incapace di fare una lunga corsa.
«Cerca di salvarti come puoi» gli rispose il ramanandy. «Io mi sono vendicato e mi basta. » «Che cosa vuoi dire?» chiese il suddito del rajah, atterrito.
«Un giorno io ero servo in quella casa» rispose il fakiro con accento pieno d'odio. «Il padre di questa bambina mi ha scacciato dandomi del ladro e frustandomi il viso come se fossi un miserabile schiavo.
«Sono diventato un ramanandy col solo scopo di vendicarmi, e Rama, il protettore della mia casta 18mi ha dato finalmente il mezzo di far pagare a quell'odiato uomo bianco l'insulto fattomi.
«La bambina è nelle mie mani, il suo sangue libererà dal mal'occhio il tuo signore. Fuggi come puoi, io non mi arresterò che a Bitor.»
Ciò detto il miserabile, che aveva buone gambe e che era giovane ancora, si slanciò a tutta corsa attraverso la boscaglia, fuggendo colla rapidità di una lepre.
Il povero vecchio per qualche po' si provò a seguirlo, poi vinto dalla stanchezza si lasciò cadere dinanzi al tronco colossale d'un tamarindo19, maledicendo l'idea avuta dal suo principe di prestare fede alle parole di quel falso ramanandy. Pochi minuti dopo, sette od otto cani, tenuti a guinzaglio da alcuni sikkari20, che sono i bracconieri di grandi signori indiani, gli piombavano addosso, cercando di azzannarlo.
«Sei tu che hai rapita la bambina del nostro padrone?» urlò il capo dei bracconieri, facendo cenno ai suoi dipendenti di trattenere i cani.
«Io sono un povero diavolo» gemette il vecchio, spaventato dai latrati furibondi dei cani. «L'uomo che ha rapito la bambina è fuggito sulla montagna. »
«Chi è?»
«Un ramanandy.»
«Dov'è fuggito?»
«Verso Bitor.»
«Guardate questo vecchio» comandò il capo, volgendosi verso i suoi uomini.





15 Torna suE’ il "Ficus bengalensis", pianta erbacea sempreverde delle moracee, alta sino a 30 metri. Famoso, al pari del Fico delle pagode o Pipal per le enormi dimensioni dei tronchi che diventano molteplici perché i rami, piegandosi verso terra, radicano formando un inestricabile groviglio di nuovi tronchi.

16 Torna su Nome portoghese del cobra dagli occhiali, cosiddetto per il bizzarro disegno che presenta sul rigonfiamento del collo, simile ad un paio di occhiali. Nell’opera “La vita e i costumi degli animali“ di Luigi Figuier (1873 - Fratelli Treves Editori) è così descritto: “ [...] ha [...] il collo dilatabilissimo. Il suo colore è giallo brunastro, più pallido sotto, di rado con strisce nere trasversali, più sovente fornito sul dorso di una specie di figura a mo’ di occhiali, fatta con una riga nera. L’addome ha piastre lunghe trasverse, il corpo lungo, quattro piedi, è cilindrico e coperto di piccole scaglie, ovali e liscie (sic); è molto sparso in parecchie regioni dell’India.”

17 Torna suIn realtà un altro nome del Cobra Capelo e non un diverso tipo di serpente. Salgari interpretò male il Rousselet che, nella sua opera “Viaggio nell’India dei rajah”, riporta: “[...] Cobra-capello, il naia o serpente cogli occhiali. A tutti è noto, almeno di nome, questo rettile terribile, la cui puntura è così velenosa, da uccidere in meno di un quarto d’ora”. A causa della sua pericolosità il Governo Inglese pagava un premio in denaro per ogni serpente catturato. Questo fino a che non si scoprì che gli Indiani si dedicavano tranquillamente all’allevamento dei serpenti velenosi per ricavare il ricco premio.


18 Torna suTermine di origine portoghese, il cui significato è “razza pura”, utilizzato dai missionari portoghesi per tradurre il termine sanscrito jati. Con jati si intende il gruppo umano cui si appartiene per nascita e che impone una serie di pratiche religiose e sociali. Ad esempio ci si deve sposare solo tra appartenenti allo stesso gruppo, il lavoro passa in eredità al figlio e le reciproche relazioni sociali sono regolate da norme.

19 Torna suAlbero originario dell’India, a chioma cupolare alto fino a 30 metri, con fiori gialli. I frutti sono grossi legumi cilindrici, bruni, lunghi fino a 20 centimetri e dal diametro di 3 centimetri. Il nome scientifico è Tamarindus Indica e significa “dattero dell’India”.

20 Torna suI sikkari o meglio scikari, come riporta anche il Rousselet nella sua opera, sono i battitori indiani. Da shikar cioè “caccia” in hindi.


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E.Salgari
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