Il Galeone

Capitan Fabio Negro






Santa Maria

- La conosco: un bel galeone e anche ben armato, signor conte, ma che non avrà in questo momento nemmeno un doblone a bordo perché parte da San Domingo. È probabile che vada a caricare verghe d’oro a Vera Cruz, […]

Il galeone non si trovava che ad un miglio di distanza e veleggiava pesantemente.

Era uno di quei grossi navigli che gli spagnuoli adoperavano per trasportare in Europa i tesori strappati alle miniere allora inesauribili del Messico, del Guatemala e del Costarica, larghi di fianchi, a due ponti, ma troppo pesanti per poter gareggiare colle svelte navi dei filibustieri i quali, forti dell’appoggio dei bucanieri, pensavano più alla velocità che al numero dei pezzi di cannone.
(Emilio Salgari, Il figlio del Corsaro Rosso, Bemporad, 1908
)

Cominciamo con questo. Secondo un luogo comune, si accosta troppo facilmente il natante denominato “galeone” ai pirati. Il “galeone dei pirati”, ibrida entità pressoché inesistente, ha trovato il suo posto nel merchandising, tra i giocattoli per bambini, nell’entertainment generico e nell’immaginario collettivo, tuttavia, ed è bene affidarsi alle parole di Salgari, non è così.
Come già accennato nello studio della goletta e del brigantino, la velocità (per inseguire o per scappare) era un requisito essenziale del “mestiere” del pirata o del corsaro. I grossi e pesanti galeoni, pertanto, erano inadatti ad essere impiegati come navi da corsa; quando i filibustieri riuscivano ad impadronirsene, li saccheggiavano e poi li rivendevano, li bruciavano o li affondavano.

Salgari nomina esplicitamente un galeone nel romanzo Il figlio del Corsaro Rosso e, se pur ne evidenzia perfettamente le attitudini e le peculiarità, non riporta dati strutturali o descrittivi.
L’intero ciclo dei Corsari, poi, è permeato di numerosi accenni all’attività di queste grosse navi, che hanno concorso in maniera importante al successo e alla ricchezza della Spagna nei secoli sedicesimo e diciassettesimo.

Il galeone, diretta evoluzione (anche nel nome) della galea, della gagliotta e della galezza, ma che tiene anche della caracca e della caravella, fu senza dubbio uno dei primi migliori risultati dell’ingegneria navale dell’epoca, condensando un’elevata capacità di fuoco, buona capacità di carico e idoneità alla navigazione oceanica. Di dimensioni notevoli rispetto ai suoi predecessori (nella costruzione in genere si utilizzava il criterio L=3l   l=2H)[1], il galeone segnava anche il definitivo passaggio dalla propulsione umana (i remi) a quella completamente velica, se pure i primi modelli vennero allestiti con attrezzatura mista.







Il rostro, perduta la sua funzione bellica che invece era stata tanto importante nelle galee, diventava un prolungamento dello scafo atto a reggere il bompresso; le murate si alzavano, le strutture di prua e di poppa (castello e cassero) venivano anch’esse innalzate, creando così diversi ordini di ponti di batteria o per il carico.
L’alberatura, solitamente, era composta di tre alberi a vele quadre (tre o anche quattro per albero), ma non era insolito vedere un ulteriore alberetto posto all’estrema poppa, detto contromezzana, o più anticamente, bonaventura, munito di vela latina omonima. Sotto al bompresso, poi, era sistemata una piccola vela quadra, detta civada, a cui si contrapponeva la controcivada, posta su un’antenna issata in punta al bompresso.
L’armamento era composto perlopiù da carronate e colubrine, pezzi a cortissima gittata ma imbarcati in numero così elevato da generare una potenza di fuoco distruttiva, nel breve raggio. Poiché incapace di sviluppare velocità elevate e, poco manovriero, il galeone non portava pezzi da caccia.

Lo sviluppo di questa unità, va di pari passo con l’espansione coloniale delle principali potenze europee tra il ‘500 e il ‘600; inglesi, olandesi e portoghesi li impiegarono sulle rotte orientali, per trasportare spezie e prodotti tipici delle Indie. Gli spagnoli invece, ne inviarono buon numero nel Golfo del Messico dove, caricati di oro e argento, si riunivano in convogli per affrontare il viaggio di ritorno verso la madrepatria. Il fatto di navigare “in squadra” permetteva alle singole unità di apportarsi reciproca assistenza in caso di necessità o attacco contro le navi filibustiere. Proprio il galeone, e il suo impiego, quale vettore dell’arricchimento spagnolo, portò alla creazione delle patenti di corsa.
Il declino di queste unità avvenne nel tardo XVI sec. con l’avvento del vascello di linea.







[1] L = lunghezza, l = larghezza, H = altezza di costruzione



* I mari di Emilio Salgari *



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