La Torre del Silenzio
racconto commentato e illustrato


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Il drappello s'affrettava, perché già le prime ombre della sera cominciavano a calare nelle sterminate jungle1 del Mysore2, rifugio di tigri 3 sempre assetate di sangue e di serpenti smisurati, che stritolano fra le loro spire un uomo come fosse un semplice fuscello di paglia.
Halnali, il bel giovane maratto4, incoraggiava la sua scorta ad allungare il passo, promettendo doppia razione d'arak5 all'arrivo e triplice mancia. Non già che egli, valoroso indiano, discendente di una stirpe d'eroi, che aveva già a quindici anni combattuto contro gli inglesi 6dando prove non dubbie di audacia, avesse paura.
Conosceva la giungla come conosceva i suoi abitanti che più volte aveva inseguiti nei loro tenebrosi nascondigli e non li temeva. La sua fretta aveva un'altra origine: il desiderio di rivedere gli occhi neri e profondi di Naia7, la graziosa figlia del vecchio rajah8 di Guntur9, che aveva chiesta in sposa e che da un anno più non aveva riveduta.


Se fosse stato solo, avrebbe lanciato ventre a terra il piccolo e ardente cavallo maratto, dalla lunga criniera adorna di sonagliuzzi e nastri variopinti, pronto a sfidare tigri, serpenti e rinoceronti 10per giungere al più presto alla abitazione del rajah, ma aveva dietro di sé i portatori di regali e non voleva presentarsi senza di quelli e correre il pericolo di non vederli più mai giungere.
Bel giovane quel Halnali, alto, svelto, leggermente abbronzato, coi lineamenti purissimi e ad un tempo graziosi; con due occhi nerissimi e vellutati come quelli delle donne del Bengala11, le più belle dell'India, e doppiamente bello con quella ricca casacca di seta fiorata, a ricami d'oro, che gli scendeva fino alle ginocchia; con quel calzoncini di nanchíno 12ben stretti alle gambe, quella larga fascia di velluto azzurro a frange d'argento.
Cavalcava con grazia uno splendido cavallo dal mantello bianco, bardato all'indostana13.
Il drappello, composto d'una dozzina di servi e di portatori, carichi di pacchi voluminosi contenenti i regali per la bella figlia del rajah, era giunto sull'orlo di una nuova jungla, quando il sole scomparve quasi improvvisamente sotto l'orizzonte.
Le tenebre calavano rapidissime, non essendovi crepuscolo sotto quei climi. Halnali aveva fatto un gesto di impazienza, vedendo le ultime luci dileguarsi con fulminea rapidità.
- Giungeremo tardi, - disse all'uomo che aveva già accesa la torcia, e che gli camminava a fianco, - Il rajah non vedendoci ancora giungere, sarà inquieto.
- E dobbiamo passare presso la torre del silenzio14, rispose il servo facendo un gesto di terrore.
- Hai paura dei morti tu? - chiese Halnali con accento sardonico.
- Non è dei morti che io ho paura, signore, bensì di Nurandur.
- Chi è costui? Qualche spirito del male?
- Non ne avete mai udito parlare, signore?
- È la prima volta che odo quel nome.
- Eppure... - disse il servo, scuotendo la testa.
- Che cosa vuoi dire?
- Che dovreste guardarvi da lui.
- Io ! - esclamò il giovane maratto, sorpreso dal tono misterioso del servo.
- Non vi ha mai detto nulla il rajah di Guntur?
- Non mi ha parlato mai di quel Nurandur. Infine, chi è costui?
- Non ve lo saprei proprio dire, signore. Per alcuni è un uomo, per altri è un fantasma, uno spirito, che so io. Il fatto sta che tutti hanno paura, soprattutto il rajah, il quale non oserebbe passare di notte presso la torre del silenzio, anche se gli promettessero un regno due volte più vasto del suo.
- Eppure é un uomo coraggioso, - disse Halnali, che s'interessava assai.
- E tuttavia io l'ho veduto impallidire ogni volta che ha udito parlare di Nurandur.
- L'hai mai veduto tu quell'essere misterioso?
- Se l'avessi scorto una sola volta, non sarei più qui a raccontarvi queste cose - rispose l'indiano che non seppe frenare un fremito.
- E' fatale alle persone che incontra?
- Si dice che le uccida.
- Allora è un bandito, qualche tug15.
- Non lo so, signore, - disse l'indiano. - Vi dico solo di guardarvi da lui. Ecco laggiù la torre dei morti. Che Brama, Sivah e Visnù 16vi proteggano.
Halnali alzò le spalle e guardò con occhio compassionevole l'indiano. Giovane valoroso e spirito forte, non credeva affatto a quelle storie, né era superstizioso.
Per incoraggiare i suoi uomini che lui vedeva titubanti e stringersi paurosamente l'uno vicino all'altro, staccò dall'arcione la sua splendida carabina17, dicendo:
- Se quel bandito oserà mostrarsi, gli farò fuoco addosso e Halnali non falla mai i suoi colpi. La luna che sorgeva dietro le montagne, in tutto il suo splendore, cominciava a diradare le tenebre che si erano addensate sulla pianura.
Halnali aveva subito fissati gli sguardi su una immensa torre che s'alzava quasi in mezzo alla jungla. Era una costruzione enorme, di forma circolare, alta una trentina di metri, tutta bianca e senza finestre.
Al di sopra si vedevano volare numerosi punti scuri, i quali s'abbassavano e si rialzavano senza posa e senza mai allontanarsi.
Nel vederli, anche Halnali, non ostante il suo coraggio, aveva provato un fremito d'orrore.

- Li vedete padrone i marabù18? - chiese l'indiano.
- Si - rispose il maratto. - Hanno portato qualche altro morto da spolpare i Parsi19?
- Non vi sono più Parsi in questa regione. Sono molti anni che la torre non serve più, eppure non mancano mai di vitto quegli uccelli.
- Chi li provvede di cadaveri?
- Nurandur, si dice.
Halnali, senza sapere proprio il perché, si sentì una stretta al cuore. Quel nome di Nurandur, cominciava a produrre su di lui una strana impressione.
Erano allora giunti nei pressi della funebre torre del silenzio.
Fra le tante sette religiose che sussistono nell'India ve n'è una che conta pure numerosissimi addetti, che si chiama dei Parsi e che passa per la più antica.
I suoi seguaci non adorano né Brama, né Sivah, né Visnù, né alcun essere potente: non adorano che il fuoco20. Una delle più singolari loro usanze riguarda i morti. Partendo dal principio che gli elementi sono simboli della divinità, pretendono che la terra, l'acqua ed il fuoco non debbano venire in modo alcuno contaminati dal contatto della carne putrefatta.
Da questa credenza deriva uno dei costumi più singolari, che consiste nel lasciar disgregare i cadaveri dei loro correligionarii all'aria libera, lasciando agli uccelli di rapina la cura di farli sparire.
A tale uopo, in parecchie regioni dell'India, i Parsi hanno innalzato delle costruzioni enormi chiamate torri del silenzio sulla cui cima, sopra grate di ferro, depongono i morti. Nel mezzo hanno un pozzo profondissimo che conduce, per un buco praticato nella parete, a quattro canali riempiti di carbone e che sono destinati a ricevere le ossa quando sono state spolpate dai marabù e dagli avvoltoi21.
La torre che sorgeva in mezzo alla jungla e che doveva servire d'asilo a quel misterioso Nurandur, che tanto spavento causava alle popolazioni della regione, non differiva dalle altre disseminate per l'India. Era del pari immensa, tutta bianca, più massiccia che alta, senza aperture e spiccava stranamente alla luce lunare, fra il verde cupo delle immense canne che avevano ormai invase le vicinanze.
Il drappello aveva rallentato il passo e s'avanzava guardingo, come se temesse di veder apparire lassù qualche spirito spaventevole. Anche Halnali aveva trattenuto il cavallo. - Vedi nessuno? - aveva chiesto al portatore della torcia, che gli si era stretto vicino, tenendo la briglia del cavallo.
- No, signore, - aveva risposto l'indiano, con voce tremula.
- E tu dici che qui abita quel terribile Nurandur?
- Tutti lo dicono.
- Io credo che abbiano sognato e quell'uomo non sia mai esistito.
- Eppure l'hanno veduto, signore, ed il rajah potrà dirvi qualche cosa.
- Sogni e ...
La parola gli si era gelata sulle labbra e aveva fermato di colpo il cavallo, mentre i suoi uomini si erano gettati a terra mandando un urlo di terrore.




1 Torna suDall'hindi “jangal” e dal sanscrito “vangala”, è parola inglese, poi italianizzata in giungla, che indica una zona selvaggia e boscosa. La voce si è diffusa con i racconti di viaggi e i romanzi d'avventure di fine Ottocento.

2 Torna suStato dell'India del sud. Alla fine del 17° secolo lo stato indipendente del Mysore raggiunse la sua massima estensione (vedi cartina), sotto la guida di Hyder Alì e di suo figlio Tipu Sultan. Solo dopo tre sanguinose e durissime guerre gli Inglesi, con la conquista della capitale Seringapatam (1799) ebbero la meglio ed il Mysore divenne un loro stato tributario.


3 Torna suSi tratta della Tigre reale o Tigre del Bengala, una delle cinque sottospecie ancora presenti in natura. La sua popolazione attuale è stimata in meno di 4 mila unità. Questa tigre, una volta diffusa su tutto ilo territorio indiano, oggi si trova solo nei parchi nazionali.

4 Torna suI maratti o maharatti erano una popolazione dell'India Centrale famosa per la bellicosità ed il coraggio. Nel secolo XVIII costituirono una potente confederazione che dominò su ampi territori dell'India

5 Torna suBevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del riso o del succo di palma.

6 Torna suIl riferimento è alle tre campagne militari intraprese dagli Inglesi per debellare e sconfiggere la confederazione maratta. La prima (1775-1782) e la seconda ( 1803-1805) guerra maratta videro gli Inglesi intervenire nelle contese interne per designare il nuovo peshwa (primo ministro), l’effettivo detentore del potere all'interno della Confederazione. Con il trattato di Sabai che concluse la prima, gli inglesi ottennero pochi vantaggi territoriali ma, più importante, si assicurarono per 20 anni la neutralità dei maratti nei numerosi conflitti interni all'India. Al termine della seconda riuscirono ad insediare un loro rappresentante a Poona, la capitale della Confederazione Maratta, che deteneva il potere reale. Infine la terza guerra (1817-1818) vide la completa sconfitta dei maratti e l'annessione dei loro territori ai possedimenti che la Compagnia delle Indie aveva attorno a Bombay.

7 Torna suNaja è il nome portoghese del cobra dagli occhiali, cosiddetto per il disegno che presenta sul rigonfiamento del collo, simile ad un paio di occhiali. Qui abbiamo un raro caso di utilizzo di nome di un animale per un personaggio salgariano, preferendo di solito Salgari nomi geografici o di utensili di uso comune.

8 Torna suDalla voce sanscrita Ràjà, re indiano. Durante il dominio britannico fu esteso a principi e alti dignitari. Il termine è di solito riferito ad un monarca di religione indù, mentre per quelli di religione islamica si utilizza più frequentemente il termine sultano.

9 Torna su Città dell’India centrale, nell'attuale stato dell'Andhra Pradesh.

10 Torna su Il rinoceronte indiano è la specie più temuta perché spesso carica improvvisamente senza motivo apparente, sempre in linea retta, senza deviare. Ha 1 solo corno che può arrivare a misurare 60 cm., analogamente al r. della Sonda, mentre il r. di Sumatra possiede 2 corni. In oriente il corno del r. era ricercatissimo per le supposte proprietà afrodisiache e con la resistentissima pelle si fabbricavano scudi che ne le lance ne le frecce riuscivano a forare. Il r. indiano, un tempo comune in tutta l’Asia, ora vive solo in India settentrionale, ridotto a poche centinaia di esemplari. In Assam vivono ancora esemplari del r. di Sumatra, delle tre specie quella dalle dimensioni più ridotte. Nella seconda metà dell’800 in India viveva un’altra specie bicorna, detta rinoceronte dagli orecchi irti, oggi scomparsa.



11 Torna su Regione dell'India nord-orientale che si affacci sull'omonimo vasto golfo dell'Oceano Indiano che separa la penisola indiana dall'Indocina.

12 Torna su Nanchino è una città della Cina famosa, tra le altre cose, per le pregiate stoffe di seta e di cotone.

13 Torna su Dell'Indostan, cioè della regione posta a oriente dell’Indo e a occidente del Gange, delimitata a nord dalla catena della Himalaia e a sud dall’altopiano del Deccan. Dal persiano “hindustan” che significa “il paese (stan) del fiume Indo (Hindu)"

14 Torna su Luogo dove gli appartenenti alla comunità Parsi espongono i loro morti affinché gli avvoltoi ne facciano sparire ogni traccia. In tal modo si evita che il cadavere possa contaminare i quattro elementi sacri: acqua, terra, aria e fuoco. Si tratta di torri, battezzate dagli Inglesi "torri del silenzio" il cui accesso è consentito solo ai preti e a color che portano le bare. Al centro vi è una profonda conca per raccogliere ossa e sangue, collegata tramite condotte sotterrane ad appositi pozzi riempiti di calce, carbone e zolfo che fungono da filtro.

15 Torna su O meglio thug, setta di adoratori della dea Kalì che praticava l'omicidio rituale, offrendo le vittime alla propria divinità. La parola deriva dall'hindi "thag", ingannatori, e si riferisce alla loro abilità nel farsi accettare come compagni di viaggio dalle carovane di mercanti o di pellegrini che poi sterminavano una volta conquistata la loro fiducia. Uccidevano utilizzando un “fazzoletto” di seta, detto RUHMAL, piuttosto lungo, arrotolato e provvisto ad una estremità di una pesante moneta. Veniva indossato come una cintura e poi utilizzato facendolo roteare in modo che la moneta colpisse la testa della vittima stordendola per poi strangolarla. La setta, che uccideva ogni anno migliaia di persone, fu debellata a metà dell'ottocento dalla decisa azione inglese guidata dal capitano William Sleeman.

16 Torna su Le tre princiapli divinità indù. Formano la famosa Trimurti ed ognuna rappresenta un diverso principio. Brahma quello creatore, Visnù il conservatore, Shiva il distruttore.

17 Torna su Arma da fuoco portatile che ebbe grande diffusione a partire dalla seconda metà dell’ottocento quando si trovò il modo di costruirle a retrocarica. Erano armati di carabina i corpi speciali. Rispetto al normale fucile della fanteria la carabina della cavalleria era più corta mentre le carabine dei corpi speciali erano armi dal tiro più rapido e preciso.

18 Torna su Trampoliere della famiglia Ciconiidae simile, nel modo di volare, all'avvoltoio. All'epoca erano molto più diffusi in India di adesso e assolvevano la funzione di spazzini delle strade, come descritto ampiamente dal Rousselet (“L’India dei Rajah”, Treves 1877) quando parla della città di Calcutta. Il loro nome deriva dal francese marabout, a sua volta derivato dall'arabo marabit, cioè sacerdote musulmano. L'accostamento deriva dal comportamento molto serio del trampoliere, simile a quello di un sacerdote nell'esercizio delle proprie funzioni.

19 Torna su I Parsi costituiscono la più piccola comunità religiosa dell'India. Il loro antenati arrivarono in India nel VII secolo dalla Persia, scacciati dalle persecuzioni a seguito dell'invasione araba. Si stabilirono in varie zone ma attualmente la comunità Parsi è concentrata nelle città di Bombay e Puna nel Maharasthra. Seguaci della religione monoteistica fondata da Zoroastro (o Zarathustra) nel VI sec. A.C. sono una comunità chiusa che non pratica il proselitismo e non permette matrimoni misti.

20 Torna su In realtà i Parsi credono nel dio supremo Ahura Mazda, incarnazione del Bene. Sono detti "adoratori del fuoco" perché nei loro templi e nelle loro case brucia costantemente il fuoco sacro, profumato di sandalo e incenso, simbolo della divinità che nessun mortale può rappresentare o visualizzare.

21 Torna su Le informazioni e la descrizione delle Torri del Silenzio provengono dalla lettura del romanzo "Gli Strangolatori del Bengala" di Louis Boussenard, apparso a puntate sulla rivista settimanale “Giornale Illustrato dei viaggi e delle avventure per terra e per mare” (Sonzogno, Milano) a partire dal numero dell’8 Febbraio 1900.




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E.Salgari
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