La Stella degli Afridi
racconto commentato e illustrato


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L’India è il paese delle sommosse. Se i popoli soggetti agl'Inglesi, che godono una grande libertà ed una grande ed antichissima civiltà e che si arric­chiscono nei commerci, se ne stanno tranquilli, altrettanto non può dirsi di quelli semi selvaggi, e specialmente di quelli che vivono sulle alte montagne dell'immensa catena dell'Imalaia 1.
Quei popoli, come del resto lo sentono tutti gli abitanti delle montagne, soffrono con gran pena la conquista degl'Inglesi, e, appena si credono abbastanza forti per tentare la lotta, spiegano le bandiere delle loro tribù e distruggono con un fanatismo selvaggio tutto ciò che può ricordar loro il giogo degli stranieri.
Quattro anni or sono, il Governo inglese aveva mandato fra le belli­cose tribù degli Afridi2 un giovane tenente del reggimento di Bombay3, con l'incarico di sorvegliare quegl'irrequieti montanari, i quali da qualche tempo si agitavano, manifestando intenzioni alquanto bellicose.
Si chiamava James Davy, e, quantunque non avesse ancora trent'anni, aveva compiuto altre importanti missioni, mostrandosi oltre che valoroso soldato anche abile diplomatico.
I montanari non avevano fatto cattiva accoglienza al giovane uffi­ciale, anzi uno dei capi più influenti, che godeva fama di essere uno dei più temuti guerrieri delle tribù, gli aveva offerto ospitalità nella propria casa, che era la più vasta e anche la meglio fornita di quante se ne potevano trovare fra quelle montagne.
James Davy, che non avrebbe saputo adattarsi ai miseri tugurii degli altri, aveva subito accettato, quantunque fosse stato avvertito di diffidare di quel capo che aveva troppa influenza sui montanari, e che si sapeva come odiasse profondamente gl'Inglesi, che considerava gli oppressori dell'India tutta.
James Davy, come tutti gli ufficiali inglesi, ai quali si deve il quasi esterminio delle tigri indiane4, era un appassionato cacciatore, e fino dai primi giorni aveva cominciato a girare le montagne che erano ben fornite di stambecchi e di antilopi azzurre5.
Per non smarrirsi, si faceva accompagnare da un giovane montanaro, che gli aveva dato qualche prova di amicizia.
Un giorno, mentre inseguiva un branco di quegli animali, si trovò improvvisamente dinanzi ad una vecchia torre che prima d'allora non aveva mai veduta. Un po' sorpreso e un po' vinto dalla curiosità si fermò a contemplarla, poi si volse verso il giovane montanaro, che si era fermato a breve distanza, con una cert'aria così impacciata che non era sfuggita al tenente.
- A che cosa serve quella torre? - gli chiese.
- Non so, - rispose il montanaro, con visibile stizza. - L’ho sempre veduta qui da anni e anni, e non ne so di più.
- E’ abitata da qualcuno?
- Non credo.
- Eppure mi pare di scorgere del fumo uscire da una finestra.
- Sarà qualche montanaro che vi ha cercato un momentaneo rifu­gio. Andiamo, signore, non mi piace fermarmi qui e poi gli stambec­chi ne approfitteranno per fuggire.
James Davy, messo un po' in sospetto da quelle risposte evasive, s'accostò alla torre per meglio osservarla, curioso di conoscere l'abita­tore e anche risoluto ad entrare; ma si trovò dinanzi ad una porta di ferro così massiccia, che nemmeno un cannone sarebbe riuscito a sfondare.
Si provò a spingerla e s'accorse che era chiusa per di dentro anche di fuori con enormi chiavistelli.
Stava per ritirarsi quando, alzando gli occhi verso le merlature, vide apparire una fanciulla dalla pelle quasi bianca, con lunghi capelli neri, che lo fissava con uno sguardo così pieno di profonda tristezza da turbarlo profondamente.
L’apparizione però non ebbe che la durata di pochi secondi. Ad un cenno imperioso del montanaro, la giovane era subito scomparsa.
James Davy, molto sorpreso, si era voltato verso la sua guida, il cui viso mostrava in quel momento una profonda contrarietà.
- Tu mi dicevi poco fa che la torre non era abitata, mentre ho scorto lassù una vezzosa fanciulla. Tu che abiti queste montagne devi sapere chi sia.
- Non ne so nulla, signore, - rispose il montanaro. - Andiamo­cene da qui, ve ne prego. - Se parli, ti regalerò un fucile.
Gli occhi del montanaro brillarono di cupidigia, ma poco dopo rispose:
- No, è impossibile... non so nulla.
- Vi aggiungo un paio di pistole, - insistette il tenente.
- Preferisco conservare la mia vita. Venite, signore, o me ne vado solo.
James Davy conosceva già abbastanza la testardaggine di quei montanari per insistere maggiormente. Quantunque assai irritato, seguì la guida, risoluto però a venire in chiaro di quel mistero e di rivolgersi al suo ospite, il quale, nella sua qualità di capo non doveva né poteva certo ignorare chi fosse quella bella fanciulla.
Pur allontanandosi, continuava a volgersi indietro per guardare la torre, con la speranza di rivedere l'abitatrice, ma invano. La fanciulla non si era più mostrata fra i merli della vecchia costruzione.
La caccia era ormai terminata. Gli stambecchi, approfittando della fermata dei cacciatori, si erano già rifugiati sui picchi quasi inac­cessibili delle montagne, dove era quasi impossibile seguirli.
James Davy decise quindi di far ritorno al villaggio. Durante la via si provò ancora ad interrogare la sua guida su quella fanciulla, ma il montanaro si limitava sempre a rispondere con accento stizzito:
- Non ne so nulla... tutto è inutile... non posso parlare.
La sera, dopo cena, James Davy si volse al capo degli Afridi, che soleva tenergli compagnia prima di andarsene a dormire, e gli chiese a bruciapelo:
- Chi è la fanciulla che abita quella torre solitaria?
Il capo, udendo quella domanda, si era fatto oscuro in viso ed aveva lanciato sul tenente uno sguardo sospettoso e cupo.
- Chi vi ha mostrato quella torre? - gli chiese.
- L’ho veduta per caso, mentre inseguivo un branco di stambecchi - rispose l'ufficiale.
- E avete veduto una fanciulla?
- E bellissima, anche.
- Vi hanno detto qualche cosa sul conto di quella giovane? - chiese il montanaro con voce dura.
- Nessuno ha voluto dirmi nulla.
- Non occupatevene.
Sono stato mandato qui dal Governo inglese e voi sapete che io ho il diritto di riferire tutto ciò che succede. Voi siete sudditi di S. M. il re d'Inghilterra ed imperatore delle Indie6.
La fronte del capo degli Afridi si era aggrottata ed un cupo lampo era balenato nei suoi occhi, un lampo gravido di minaccia; ma che si spense quasi subito, anzi un sorriso apparve sulle labbra.
- E una cosa che non può interessare il vostro Governo e nemmeno voi, - disse il capo. - Quella fanciulla è figlia d'un capo ed è stata relegata in quella torre per impedirle d'amare un giovane della sua tribù, che non possiede né un cavallo, né un montone, né un fucile. Non occupatevene, ve ne prego. Suo padre è potente, vendicativo e potrebbe farvi qualche brutto tiro.
James Davy finse di credere e cambiò discorso, ma era più che mai convinto che il capo avesse mentito.
Trascorsero parecchi giorni. Il tenente continuava le sue cacce in montagna; ma la sua guida si guardava bene dal ricondurlo verso la torre; anzi, ora con un pretesto ed ora con un altro, lo teneva sempre lontano.
Quelle manovre avevano più che mai convinto il tenente che qual­che motivo imperioso doveva fare agire così i montanari, e che qual­che segreto avvolgesse la fanciulla misteriosa.
Dobbiamo aggiungere che l'ufficiale conservava sempre nel cuore, le dolci e tristi sembianze di questa giovane, e che si sentiva preso da un desiderio irresistibile di rivederla.
Una sera decise di recarsi da solo alla torre. Attese che i montanari si addormentassero, poi verso la mezzanotte sellò silenziosamente il suo cavallo, si armò d'un fucile e prese la via dei monti.
Sapeva press'a poco dove si trovava la torre e non dubitava di potervi giungere, tanto più che la notte era splendida e chiara, essendo sorta la luna.
Attraversò parecchi boschi e qualche ora dopo giungeva in prossi­mità della torre. Fu con una profonda commozione, che, alzando gli occhi verso i merli, scorse una figura umana, avvolta in una sarina 7di seta bianca, che stava seduta sulla piattaforma della torre.




1 Torna su Forma italianizzata per Himalaya, grande catena montuosa dell’Asia centro-meridionale. Ne fanno parte ben 10 cime superiori agli 8.000 m, tra cui l’Everest (8.846 m) e il K2 (8.617 m), le due montagne più alte del mondo.

2 Torna su Gli Afridi sono un popolo di pastori e guerrieri; musulmani, in maggioranza sunniti, vivono attualmente in Pakistan, in un'area di confine con l'Afghanistan dichiarata "zona tribale", dove cioè il controllo del governo centrale è poco più che simbolico. L'esercito è presente solo lungo la strada asfaltata che va da Peshawar a passo Khyber, che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan. Appena ci si allontana dalla strada l’unica autorità è quella delle tribù.
Nel 1893 quando fu definita la frontiera tra Afghanistan e l'India britannicia, gli Afridi restarono a sud del confine, la cosiddetta linea Durand dal nome di Sir Mortiemr Durand, ministro degli esteri del governo vicereale inglese in India che trattò la spinosa questione con gli Afghani. Ma non è mai corso buon sangue tra gli Afridi ed i sudditi di Sua Maestà Britannica, circostanza che dette origine a endemiche rivolte, all’interno delle quali questa tribù si specializzò nella produzione di armi per tutti i guerriglieri tribali che si opponevano agli inglesi.
I componenti della tribù degli Afridi sono bassi di statura, molto coraggiosi e robusti e possiedono inoltre una spiccata attitudine militare, tanto che alcuni tra loro furono inseriti nei ranghi dell'esercito inglese e si dimostrarono validi soldati.
Probabilmente Salgari potè conoscere dell’esistenza di questa tribù dal romanzo “Gli strangolatori del Bengala” di Louis Boussenard, apparso nel 1900 a puntate sulla rivista “Il Giornale Illustrato delle Avventure di terra e di mare”, edito da Sonzogno. La rivista era lettura abituale di Salgari, che vi trasse numerosissimi spunti per racconti e romanzi, ed in particolare questo romanzo fu sicuramente utilizzato da Salgari per attingere informazioni sulle Torri del Silenzio, le costruzioni mortuarie della comunità Parsi, utilizzate nel proprio “La torre del silenzio”.

3 Torna su Popolosa città dell’India centrale affaciata sul Mare Arabico, è capitale dello stato indiano del Maharashtra. La baia dove sorge Bombay fu regalata nel XIV secolo dal sultano del Gujarat ai Portoghesi che a loro volta la cedettero come dote per il matrimonio di Caterina di Braganza con il re d’Inghilterra Carlo II (1661). Ceduta da questi alla Compagnia delle Indie Occidentali, divenne importante nodo commerciale tra l’Asia e l’Europa e fu poi una delle tre Presidenze Inglesi in India al tempo dell’Impero Britannico, insieme con quelle del Bengala e di Madras nel sud. Attualmente ha ripreso il nome indiano di Mumbai, dalla dea dei pescatori kulis che abitavano l’insenatura prima dell’arrivo degli Europei. Il nome Bombay è una storpiatura di Mumbai.

4 Torna suSi tratta della tigre reale o del Bengala, una delle cinque sottospecie ancora presenti in natura. Attualmente ne sono stimate meno di 4 mila unità, ripartite non più su tutto il territorio indiano ma nei soli parchi nazionali.

5 Torna su Si tratta dell'animale che normalmente Salgari indica come "nilgò". Il nome italiano di questa antilope è bocervo mentre l'esatta grafia hindi è nilgau. Nilgò deriva secondo alcuni dalla fusione delle parole nil (azzurro in indiano) e cow (mucca in inglese) alludendo al colore grigio-azzurro dell'animale, da cui anche il nome di "antilope azzurra".


Da “La vita e i costumi degli animali“ di Luigi Figuier (1873 - Fratelli Treves Editori - pag.105): “Al genere Portace appartiene il Nil-Ghau ch’è il Toro-cervo delle Indie. E’ un bell’animale, che ha ad un dipresso la statura e le forme generali del cervo. Par più pesante per la grossezza delle gambe. Perciò alcuni viaggiatori lo hanno sovente paragonato ad un bue, e il suo nome di Nil-Ghau, in lingua indiana, vuol dire "bue azzurro". Il suo capo è sottile e assai lungo; il suo collo porta una criniera nerastra che forma una specie di lungo ciuffo sul garrese; le corna, lunghe la metà del capo, sono coniche, liscie molto discoste tra loro, lievemente piegate allo innanzi, e non si osservano se non nel maschio. Questo ha un pelame grigio ardesia, mentre la femmina è color fulvo. La coda è lunga e termina con lunghi peli. Questo singolare animale abita il bacino dell’India, i monti del cascemir e di Guzerate. Se ne va alla caccia per la sua carne, che è molto stimata. E’ d’indole timidissima; ma innanzi al cacciatore non si dà per vinto senza aver prima coraggiosamente difeso la vita.”

6 Torna suIl re d’Inghilterra e imperatore delle Indie a cui si riferisce il protagonista è senz’altro Edoardo VII, figlio della Regina Vittoria, a cui succedette nel 1901, e che regnò fino al 1910. Pertanto il racconto è ambientato dopo il 1901.

7 Torna suLa sari è il tradizionale abito delle donne indiane, composta da un unico taglio di tessuto lungo 5-6 metri, largo circa 1,25 metri; viene avvolto attorno alla vita e fatto passare sotto la spalla destra in modo che ricopra il busto. L'estremità libera viene ripiegata sulla spalla sinistra. Colori, motivi, bordi ed anche modi di indossarlo variano, anche notevolmente, da regione a regione.




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E.Salgari
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