Il segreto della perla nera
Silvia Di Marzo

I

Si affacciò dal boccaporto, percorse in fretta gli ultimi gradini, guardò oltre il familiare orizzonte di legno sperando di vedere la distesa azzurra finalmente solcata. E la vide. Grande, grigia, spettrale; mentre scivolava piano, sull’acqua piatta senza lasciare scia. Si poteva vedere bene il profilo. Le vele erano stracciate, eppure quella nave andava insieme al vento. Nessun rumore, il mare si apriva al suo passaggio, con timoroso rispetto.

Prese il cannocchiale che teneva sempre nel suo taschino di destra, lo allungò frettoloso: scrutò da vicino il ponte con l’illusione di averlo finalmente a portata, se non del suo moschetto, almeno dei suoi cannoni; ma su quello spettro di nave nemmeno l’ombra di un movimento.

“Finalmente Mary Jean. Quella dannata nave incute più paura di quello che raccontano”.

Racconta chi? Pochi di quelli che ci si erano imbattuti avevano avuto la fortuna di poter raccontare come fosse. E il capitano Jackson lo sapeva.

“Non è a portata. Disterà almeno mezzo miglio. E sono sottovento”.

Quello che lì per lì non si chiese era perché quella nave così misteriosa aveva fatto la sua apparizione sulla rotta di una nave bandiera, senza l’intento di attaccare.

Non allertò nessuno dell’equipaggio, e ordinò ai marinai che erano di vedetta e che lo avevano avvisato della Mary Jean di non rivelare ai compagni di quella apparizione; ma conosceva i suoi uomini, conosceva soprattutto le regole di bordo, non quelle ufficiali ma quelle degli uomini di mare, così aggiunse: “Sarò io a comunicarlo. Insieme ai nuovi ordini”.

Intanto Mary Jean scivolava via, come se il suo vento fosse più potente dello stesso vento che trascinava il capitano Jackson e la sua nave. poi scomparve in silenzio nel buio.

Gli spagnoli erano vicini, l’ordine era di attaccare e vincere, ma per Paul Jackson niente era più importante della sua eterna avversaria, quella nave fantasma che un giorno aveva portato via  per sempre il padre e il fratello. Erano solamente due ragazzi quando accadde, più di venti anni prima. La Mary Jean apparve sulla rotta della nave guidata dal padre; i pirati avevano lanciato un urlo strozzato, si erano avvicinati con abilità e avevano speronato la nave di bandiera. L’istinto fu la sopravvivenza: Jackson aveva fatto in tempo a nascondersi in un barile, chiudere occhi e tapparsi le orecchie, e con respiro affannato aspettare che tutto finisse. Quando uscì, solo uomini sgozzati come porci. Da quel giorno non era più riuscito a dimenticare l’odore del sangue.

La nave fu recuperata dopo giorni, alla deriva, lungo le coste occidentali della Spagna. Era sopravvissuto per miracolo, solo un pensiero gli aveva dato la forza di vivere: distruggere quella nave del male. E un solo pensiero lo porto avanti negli anni: trovare il coraggio che gli era mancato quella volta.

 

II

La mattina dopo si svegliò di soprassalto. Nella cabina filtravano già i raggi del sole. Scese in fretta dal letto, appena sotto la finestra. Andò a lavarsi frettolosamente al catino di acqua.  Indossò l’uniforme bianca e blu e si affretto a salire sul ponte.

Appena uscì dal boccaporto, quello sotto il castello di poppa, mirò l’orizzonte quasi sperasse di rivederla: ma di Mary Jaen nemmeno l’ombra. Se lo aspettava.

Qualcuno gli porse quasi subito una tazza di caffè caldo; era tardi, dovevano essere le otto o poco più. L’equipaggio aveva issato tutte le vele; la giornata era limpida, frizzante.

-Buongiorno, capitano – ingiunse il tenete Scott.

-Buongiorno a lei, Ser Scott.

-Una notte tranquilla?- chiese Scott cercando di carpire dove lo sguardo distratto del capitano si dirigeva.

-Diciamo di sì. Gli uomini sono tutti ai loro posti?

-Certamente. Stamani si viaggia veloci. Prevediamo di raggiungere il porto di Caracas in due giorni, se il tempo ci rimane amico.

-Sì…

Caracas… non era lì che si sarebbe diretta la Mary Jaen; non prima di aver depredato l’ennesimo bastimento. Poi sarebbe corsa a scialacquare i dobloni ancora sporchi di sangue in qualche porto, tra fiumi di rum e sorrisi di donne.

-Credo che non sarà quella nostra rotta, Ser Scott.

-Abbiamo urgenza di rifornirci, capitano. Un porto è quello che ci serve prima di incontrate gli Spagnoli.

-Metteremo i piedi sulla terraferma tra tre settimana. Per ora, ci attende un altro compito.

-Quale, se è permesso chiedere?

-Pirati. Ho avvistato una nave proprio stanotte. Non ho dato l’allarme, nel cuore della notte, non avremmo avuta alcuna possibilità.

-Se mi è permesso… Gli uomini sono esausti, e quello che si aspettavano erano battaglie con Spagnoli, non certo con pirati…

-I pirati sono meno nemici degli Spagnoli? E una battaglia con loro meno decorosa per la Corona? Hanno depredato ricchezze e ucciso i migliori uomini del Regno, vorrei ricordarglielo Ser Scott. È nostro dovere portarli alla forca non meno che fermare gli Spagnoli.

-SSì certo.

-Bene. Fate virare il timoniere sette gradi a Nord Est- concluse secco Jackson.

-Sì signore. Nuova destinazione?

-India, coste del nord.

 

III

Bristol, 27 marzo 1753.

Come ogni mattina la trovava lì, una rosa rossa come il sangue. Sapeva che quando lui non poteva portarla di persona, trovava il modo di recapitarla. Sempre sul davanzale della finestra che dava sullo specchio di mare, dove navi e traffico raramente ricordavano di essere in uno dei porti più trafficati del Regno. La dolcezza di quel gesto quotidiano non le faceva sopire l’amarezza della lontananza e il ricordo dei giorni felici.

Suo marito, il coraggioso capitano Robert J. Jackson, era valorosamente perito in una delle più aspre battaglie mai combattute, almeno così si diceva. Sapeva cosa volesse dire essere la moglie di un uomo di mare, lo sapeva fin da quando decise di sposarlo e di legarsi a lui per sempre. Dure notte insonni passate sola ad ascoltare  il frangersi delle onde burrascose contro gli scogli, col terrore di sentire, distante, il rumore del legno dello scafo spaccarsi sulla pietra.

Erano giorni passati nel terrore della brutta notizia, di qualcuno che recapitasse il cordoglio di un’ultima lettera ritrovata. Così non si meravigliò quando quella lettera arrivò, il gennaio del 1730, ma la prevedibilità del fatto non servì a smorzare il dolore.

 

“Mia cara Lucy,

tu come nessuno mai conosci il fondo del cuore di questo povero uomo, sempre in cerca della giustizia e della libertà in terra e soprattutto in mare.

Non mi spinge il coraggio, che così spesso vacilla quando le burrasche sembrano schiacciare ogni speranza, ma la fedeltà e il  senso del dovere, che già portarono mio padre in mari lontani in nome del Re e di una vita migliore per i nostri figli e per i figli tutti dell’amata Inghilterra.

Sai bene che ogni volta che salpo da questo porto, scrivo per te lettere come questa, nella speranza che mai vengano recapitate insieme alla notizia della mia dipartita. Perché ciò che più desidero è riabbracciarti di persona.

Oggi, alla partenza, il mare è calmo, il sole brilla e l’umore dell’intero equipaggio, come il mio, è ottimo.

Paul e Jan sono allegri, e sembrano animati dal  più profondo coraggio che spinge lontano i validi uomini di mare al servizio della Corona. È la seconda volta che partono con la mia nave, e già ti posso assicurare che saranno dei capitani validi come il loro nonno! Paul è sempre obbediente, attento a tutto e con un forte senso del dovere; il piccolo Jan non è così disciplinato ma spinto da una curiosità e da un animo che lo porteranno lontano.

Sono orgoglioso dei nostri figli, anche se non sempre lo lascio loro intendere.

Come ben sai, questa volta è partito con noi il Governatore; questa nave e l’equipaggio faranno una gran figura, ne puoi esser certa e torneremo con gran prestigio!

Mia cara, ti abbraccio con i più profondi sentimenti.

Tuo Robert””

 

Da quel giorno visse nel ricordo, ma la nostalgia non le impedì di portare avanti quello che le rimaneva. Tornò Paul, recuperato quasi per miracolo da una nave mercantile che trovò la prestigiosa Qeen ridotta in rottami di legno, quasi affondata nei mari aperti, con l’equipaggio trucidato: il capitano Robert Jackson morto valorosamente in duello, il piccolo Jan, come molti marinai, disperso.

Morti e dispersi….

Paul aveva allora dodici anni, il piccolo Jan nove, solo nove. Crebbe il figlio che aveva ritrovato con tutti i mezzi che aveva a disposizione, istruendolo ed educandolo con i migliori principi. Conosceva bene quel figlio così coraggioso e sapeva che senso di giustizia (o di vendetta) lo avrebbero prima o poi riportato in mare, per cercare e combattere la Mary Jean e i pirati che gli avevano decimato la famiglia. Così accadde, dopo sei anni, quando Paul decise di imbarcarsi di nuovo per percorrere la strada del padre e del nonno: le rotte del mare. Ora il capitano Paul Jackson viaggiava quasi sempre, sulla Liberty, alla ricerca di giustizia e libertà.

Quello che Lucy Mallory temeva era, oltre di perdere il figlio, che Paul incontrasse la Mary Jean…

 

IV

Aveva la pelle dura. Cotta dal sole, era piena di grinze. Ma non presentava quel colore scuro che distingueva i gentiluomini di ventura: anzi era piuttosto pallida, se non proprio grigia. Arida, rugosa e sottile. Una lunga cicatrice solcava la guancia sinistra, dalla rima labiale fin sotto l’occhio; era quasi un miracolo se poteva ancora vedere.

Non sorrideva mai, e soleva serrare le labbra nei momenti più difficili, durante gli arrembaggi e i combattimenti; durante quelli notturni, i preferiti, strizzava gli occhi per vedere meglio, come se quel gesto gli desse capacità di vista felina, notturna.

Tutti lo temevano, e raramente l’equipaggio si soffermava a discorrere ma obbediva rispettoso agli ordini, di sicuro i migliori; perché ne aveva esperienza quanto a navigazione: si vociferava che non fosse sceso dalla nave da anni, c’era chi diceva che vi fosse nato e non conoscesse terra ferma. Beh, forse non era proprio così ma mentre la ciurma, dopo un succulento bottino si precipitava nel primo porto a sperperare tutto con donne e rum, lui rimaneva a bordo, fumando vicino al timone sul castello di prua, a guardare silenzioso il cielo.

In realtà si sapeva poco o nulla di lui: che il suo soprannome fosse “Black”, che fosse il capitano indiscusso della Mary Jean, che amasse di tanto in tanto tornare a Bristol, questo era certo. E che il sangue lo rendesse cieco ed avido.

Black navigava da anni, e l’unico posto dove si sentiva davvero a casa sua era il mare. Questo lo aveva capito fin da giovanissimo, quando aveva sentito che il male, dopo averlo tenuto per tanto tempo prigioniero, era diventato il suo alleato e la sua vita. Allora aveva deciso che non voleva combatterlo ma usarlo, nel peggiore dei modi, per l’unico scopo che si era prefisso nella vita: scappare da tutto e da tutti, per mare, e vivere libero dal passato.

Quella notte, come tante altre, non la passava dormendo. Black sapeva che una nave, quella inglese, lo inseguiva da anni ed era ormai vicina; non poteva più evitarla.

La ciurma, tranne il cuoco solitario, gozzovigliava sotto il ponte: si udivano gli schiamazzi e i rutti dei marinai che lanciavano dadi e bevevano rum a fiumi, dopo essersi liberati la mattina, in maniera non proprio civile, degli ultimi prigionieri. Ancora non riusciva a capire come riuscissero a vedere i numeri delle facce dei dadi con il buio. Era infatti ordine tassativo navigare senza luci, nemmeno quelle delle più fioche lampade a petrolio. Non era raro che tra gli uomini nascessero incomprensioni proprio per la difficoltà di vedere i numeri, e non era raro che qualcuno finisse fuoribordo solo per aver pensato di vedere un quattro che non c’era. Era la normale decimazione di una lunga navigazione.

Quella notte la tempesta stava arrivando, e forse anche la Liberty.

 

V

Per i più esperti, la costa era ormai vicina. Odore di terra.

La tempesta aveva montato; il vento soffiava a raffiche, mentre il mare spruzzava e sbuffava sulle due navi, la Liberty e la Mary Jean. L’una accanto all’altra, si fiutavano ancora da lontano in attesa che il vento si placasse e che la più veloce cominciasse l’arrembaggio. Nonostante le onde, i cannoni erano pronti al fuoco. Fu proprio un primo sparo a dare il via alla battaglia, nonostante le raffiche di vento rendessero l’attacco proibitivo: era stata la Liberty a sparare per prima.

La battaglia cominciò, senza risparmiare nessuno. Gli ammutinati, raggiunto il ponte della Liberty, non risparmiarono sangue e con grida perverse affondavano coltelli o lanciavano pallini, mirando se possibile in mezzo agli occhi. Solo uno di loro quella volta, stranamente, aveva deciso di tirarsi da parte: proprio il capitano Black. Se ne stava nella cabina, protetto, fumando; non aveva nessuna intenzione di sporcarsi le mani. Anzi avrebbe preferito non essere lì e, per la prima volta in vita sua, ripugnava l’odore del sangue.

 

VI

Black fu catturato. Era rimasto nella sua cabina, con il moschetto carico e pronto a sparare, ma l’irruzione improvvisa nella sua cabina lo aveva colto di sorpresa. Era stato trasportato nella Liberty proprio quando la tempesta si stava chetando, mentre i suoi uomini, sul ponte, sgozzavano e si facevano sgozzare dagli uomini di Paul Jackson. Presi dalla follia del sangue, e forse del rum, avevano continuato a combattere mentre lui, legato e con più di un moschetto puntato alla testa, si faceva trasportare sulla nave che tanto lo aveva inseguito; poi gli ammutinati, depredata la nave avversaria alla meglio, e vista la cattura del loro capitano, non avevano pensato due volte a ritirarsi sulla Mary Jean e, dopo un breve consiglio, si erano ammutinati per l’ennesima volta nella loro vita, e avevano deciso di abbandonare il loro capitano e di ritirarsi con il bottino (non molto cospicuo) preso dalla Liberty.

Black fu condotto al cospetto del capitano Jackson. Proprio in quell’istante, successe l’imprevisto che nemmeno il peggior pirata poteva augurarsi: sul mare ancora grosso per la tempesta appena passata, apparve l’ombra di uno dei più grandi galeoni. Sembrava solo un’ombra, perché le vele, stacciate e grigie, penzolavano spettrali dai tre alberi imponenti. Si avvicinava lentamente, ma inesorabile, come un destino ineluttabile.

Era la Vasa, nave svedese affondata dopo pochi istanti della sua prima navigazione nel mare del porto di Stoccolma, almeno cento anni prima e, secondo la leggenda, recuperata dopo moltissimi anni in una notte di plenilunio da un cospicuo gruppo di ammutinati; erano guidati da Sellory, uno dei pirati più sanguinari dei mari, crudele, senza scrupoli. Si raccontava che fosse possente, con lunghi capelli corvini tenuti insieme da un laccio, ed un cappellaccio logoro che gli copriva la fronte e gli occhi. L’unica cosa che desiderasse nella sua vita era il potere, in nome del quale aveva ucciso tanto uomini da poter popolare un’intera città fantasma.

 

VII

I due capitani, Jackson e Black, il coraggioso e il sanguinario, erano l’uno di fronte all’altro quando lo spettro della Vasa si avvicinava. Jackson impallidì, come solo una volta gli era capitato nella vita, in quel barile, mentre i pirati uccidevano il padre e portavano per sempre via il fratello; il coraggio che lo aveva portato ad inseguire per tanti anni la Mary Jean fu schiacciato dalla sorpresa del nuovo pericolo, inaspettato e molto più grande di tutti quelli che aveva fronteggiato prima.

Fu allora che Black gli parlò, per la prima volta:

“Se volete avere salva la vita, e se volete rivedere in porto la vostra nave, dovete lasciarmi andare. È me che cercano”.

Black si divincolò e prese un coltellaccio e il moschetto dalle mani di uno degli uomini di Paul Jackson; si voltò verso il capitano Jackson e aggiunse:

“Sellory mi rapì vent’anni fa, quando ero solo un bambino. Il vostro coraggio era chiuso in un barile. Io fui condotto a bordo della Mary Jean, e forse Sellory voleva bere anche il mio di sangue. Ma scoprì, e lo scoprii anch’io, che proprio in quel sangue scorreva il futuro di un uomo che poteva essere crudele quanto e più di lui. Mi crebbe sulla sua nave insegnandomi la navigazione e le poche regole dei pirati. Dopo alcuni anni decisi di servirmi dello stesso male di cui ero stato vittima: incastrai Sellory in un trabocchetto, con l’appoggio di altri ammutinati ai quali avevo promesso ricchezza e potere, ed un trattamento migliore di quello che ricevevano da Sellory; lo catturai e lo abbandonai sulle coste dell’India, dove speravo sarebbe morto ucciso dalle bestie. Ma non fu così: si salvò e, recuperato il fantasma della Vasa, mi ha aspettato anni per riprendersi quello che di più prezioso porto in tasca: la sua dignità e la perla nera che da sempre nei secoli conferisce al pirata che la possiede poteri leggendari. Intendo affrontare Sellory, e ucciderlo questa volta; per tenere io la perla. Se non mi lasciate andare, capitano Jackson, Sellory verrà qui per riprendersi la perla. Non so se vi conviene che sia lui il proprietario di questo tesoro”.

E così dicendo andò via, e si vide sparire lontano, probabilmente sulla Vasa. Paul Jackson rimase per qualche istante pietrificato; questa volta ebbe il coraggio, quello vero, di ordinare di spiegare le vele per inseguire la Vasa, ma a parte qualche colpo di cannone che sfiorò soltanto lo spettro di quella nave, la Vasa si allontanò con velocità, senza possibilità alcuna che la Liberty potesse raggiungerla.

 

VIII

Sellory e la Vasa non comparvero più sulla rotta di nessuna nave.

Di “Black” non si seppe più nulla; qualcuno disse che era morto anche lui ucciso nel duello con Sellory, altri dissero che custodiva ancora la perla nera; di sicuro una rosa, quasi tutte le mattine, arrivava sul davanzale di Lucy Mallory, che ogni volta si chiedeva come facesse suo figlio Jan a raggiungerla, pur trovandosi in mari molto lontani da Bristol. Rischiava ogni volta per mandare qualcuno?

Paul Jackson smise di comandare navi della flotta inglese. Il “capitano coraggioso” smise di inseguire il coraggio ch’aveva perso, da bambino, in quel barile. Continuò ad andare per mare, ma stavolta davvero libero.

 

FINE