La tigre e il leone
Marco Mura



Il ragazzo guarda preoccupato il nero che lo circonda dal finestrino dell’aereo. Non si vede una luce.

Solo come fuochi di grandi bivacchi, lontanissimi gli uni dagli altri. Ma Delhi non dovrebbe essere la capitale? Capitale oscura, evidentemente.

La ragazza accanto a lui ha occhi d’acciaio, una macchia come di inchiostro di capelli e naso non piccolo: già tende le froge ad inspirare la notte indiana. Il ragazzo si tende sul sedile, come un pugile prima dell’incontro prova le corde e il segno di croce. Qui si parrà la vostra virtute. Riuscirà a sconfiggere il gioielliere indiano, il big boss, ex fidanzato del suo primo amore? Riuscirà a muoversi e lavorare in una terra la cui lingua ufficiale balbetta e quella del popolo ignora? Love ch’ange anything. Forse. Speriamo. Intanto avanziamo in questo improbabile terminal arrivi internazionali immersi in una diafana luce bianca di neon ,così pallida da sembrare malata. Prima nota inconsueta: uno schizzo di sterco di uccello grande come una frittata sul suo zaino blu elettrico da ottanta litri.

Controllo passaporti e visti ed ecco il nemico. Affetta sicurezza il ragazzo e superiorità ma studia l’avversario che squalifica subito come tutti gli improvvidi guerrieri. Si aspettava uno sottile e aguzzo come una lama,questo è polposo e femmineo, una specie di bambino grande molto aereo e ciarliero,fisicamente si sentirebbe di metterlo giù al primo round al bisogno. Eppure…Eppure attenzione: non sottovalutare chi incassa così bene che la sua promessa sposa torni e gli presenti il suo nuovo amore. A colazione il gioco comincia e arriva la diavoleria più piccante di tutto il subcontinente indiano. Abbozza il ragazzo,diventa grigioverde ma deglutisce con naturalezza,quasi noncalanza.”E troppo speziato?”S’informa premuroso il serpe.”No, no “.”Anzi.”E vorrebbe infilargli un peperone sa lui dove,dopo aver prosciugato una caraffa da due litri d’acqua. Invece si bagna solo le labbra a fine pasto. Col serpe c’è qualcuno della sua corte. Bisognerà abituarsi a questo andazzo:chi ha un’attività in India ha un codazzo di almeno trenta fra tirapiedi e familiari. Portassero almeno i bagagli. Aperta parentesi:uno zaino da alta montagna va bene in alta montagna.In mezzo alla polvere con una media di quaranta gradi all’ombra forse una sportina della Coop semivuota è meglio. Sotto il peso dei due zaini gemelli il portapacchi della Marutina si imbarca pericolosamente. Sono in cinque dentro una macchina che porterebbe tre persone in Italia ma anche questo è India. Ora la scena passa in esterno e il ragazzo apre gli occhi e guarda l’India. Somiglia molto alla Sardegna di quando era bambino. Polvere e caldo . Il verde non sembra verde da tanta polvere c’è sopra .La macchina parte e il ragazzo pensa alla delusione che provò suo padre quando marinaio guardò per la prima volta il deserto e vide solo una distesa di sabbia. Non vuole vedere così anche lui e così guarda la strada e l’intorno. Il paesaggio si distende uscendo dalla capitale che alla luce del giorno sembra più capitale,anche internazionale. Gli autobus sono carichi di grappoli di gente sul tetto,fuori dai finestrini. Come pesci in un acquario attraverso la trasparenza equivoca e distante dei vetri, vorrebbe parlare con loro, conoscerli ma, ineluttabilmente, lui è in macchina loro no. Avranno un nome per Dio,mica si può continuare a pensarli quelli li o questi qua e basta. Ma del loro nome non interessa niente a nessuno,forse nemmeno a loro,di sicuro a nessuno sulla macchina.

Sta per annoiarsi,ed ecco,dopo una curva ,all’improvviso, l’India, i suoi misteri. Di vita. Di morte. Uno stormo di avvoltoi alti come un ragazzo di dieci anni attorno alla carcassa di un dromedario. Il sangue torna a pulsare nelle vene:dunque questa è l’avventura. C’è dentro,è iniziata e lui ne fa parte e il pensiero lo rinfranca,come acqua gelata. Guarda il suo amore:fredda e distante dal serpe.Tutto ciò non lo rinfranca.

Ha come una premonizione: un giorno quella freddezza  la proverà anche lui. Poi oggi è felice e quando si è felici si può fare anche pace coi nemici e condividere con loro la grande avventura. La ragazza è di altro parere. Organizza ,interroga, prepara il terreno alla loro(?)impresa. Non si gode il paesaggio. Ma è vero :lei ci è già stata qui. E il pensiero di quella parte di lei che altri hanno avuto riaffiora doloroso. Così cerca di non seguire i discorsi in inglese,di non sforzarsi di essere così attento a cosa accade attorno e,alla fine, Jaipur arriva comunque coi suoi dromedari di città e i suoi vigili urbani inflessibili, equamente nerbate a tutti quelli che attraversano i loro incroci. Vengono guidati in una casa tradizionale,con un bel giardino interno e una vasca all’interno del giardino prezzo popolare indiano,rifiutano una grande camera senza bagno ,bellissima,per una con la turca modernissima. Ed è subito cena a casa dei “parenti” del serpe.

Il ragazzo è un po’ teso. Il buon senso gli dice che la sua presenza offende quella gente(promessa sposa etc.etc….)ma la sua assenza li offenderebbe di più quindi semplicemente va. La sorella del serpe è molto gentile, tutti lo sono,perfino la vecchia madre dalla quale si aspetta uno schiaffo lo accoglie con un sorriso,falso. Non c’è bisogno di conoscere l’hindi però per capire il tono dei loro discorsi e sentirsi un po’ un ladro dentro la stessa banca rapinata un mese prima. Anche se si è fatto di tutto per rubare .Il serpe assurge al rango di tigre ora. Dispiega la sua opulenta ricchezza. Sotto le scaglie,dopo uno sbadiglio che ha rivelato le zanne fa mostra di se il manto variegato della tigre,quella sazia,quella reale.La tigre fa vestire con un sari azzurro la sua ex-promessa e il ragazzo pensa con tristezza che lui non potrà mai offrire qualcosa di così bello .Poi la notte li inghiotte in tre per motocicletta  due bottiglie di birra Knock-out(un nome una garanzia)per pistone. La cena continua,più rilassata alla luce di una rivendita ambulante  di cibo,in strada. Ma è una strada da mille e una notte, senza quel fastidioso confine imposto dalla sua funzione:qui la gente si siede per terra,mangia aiutandosi con le mani ,ride e parla senza capirsi tedeschi,canadesi,indiani,italiani e la notte inghiotte le voci di tutti, pietosa coperta nera .La pagano però la prima notte indiana la ragazza sta male e per quanto il ragazzo cerchi di calmarla e di chiamare un dottore non riesce nemmeno a svegliare quei fagotti addormentati sotto il portico che dovrebbero essere il personale. Attacco di panico?

Jet leg?Il ragazzo crolla alle quattro di mattina con la ragazza che ancora si lamenta. La ritrova,pallida, al suo risveglio. E’ sopravvissuta alla vendetta dell’India. Almeno alla prima. Si inaugura il giorno con sdegno redarguendo e facendo redarguire i poveri dormienti e cambiando hotel. Si va più in centro, là dove i dollari possono procurarti a qualsiasi ora un five star ice-cream e volendo good ash,omelette and fried potatoes.

Il ragazzo non intuisce la fine così trasparente pure.Nemmeno il tucchiare dei gechi in amore e le loro corse notturne gli fanno capire che stanno perdendo a far così.Nemmeno il richiamo alla preghiera del vicino tempio di Durga la Nera riescono a fargli prendere la decisione giusta,tornare in strada.Ormai si è fatto il dentro e il fuori. Non si può tenere l’India fuori dalla porta quando si è in India. Si rimane chiusi fuori convinti di essere in casa,ma non è così. Questo il ragazzo lo sente e sente che anche il rapporto con lei è alla prova o si vince insieme o si perde, ognuno il suo. Ma è ancora sera e si vanno a cercare avventure e paesaggio al Tiger Fort, sei nella Marutina. E ancora l’avventura arriva con una tigre che attraversa d’un balzo la strada ,c’est à dire due recinzioni alte come un uomo per una larghezza di una strada a due corsie. E’ buon segno,guidava la ragazza. Nel forte, il silenzio e la notte. Si allontana la ragazza,si allontanano tutti e il ragazzo si affaccia su un bastione che dà sul deserto spettrale e gli pare di vedere le orde dei tartari,che c’entreranno mai?!,caricare sui loro cammelli,ormai la dimensione è spudoratamente onirica,e sente di essere già stato lì,di aver già montato la guardia su quel contrafforte,fiero guerriero rajput.

Lo chiamano e sposta ancora lo sguardo su un nero manto su cui sfavillano pietre preziose che sono luci colorate,che sono Jaipur. Vien fatto di allungare la mano e tuffarla a prendere quelle gemme,a berle. Ancora lo chiamano a scendere per  larghi terrazzamenti giù fino all’acqua,in una conca dove vanno ad abbeverarsi le tigri. Non ha paura il ragazzo sente che al bisogno affronterebbe le tigri,che non ci sarebbe bisogno di affrontarle perché verrebbero in pace. Non lo spaventa nemmeno la lontananza nel buio della ragazza. Quella notte ha un sogno. La tigre viene e da dietro gli morde la schiena. Un altra volta qualcuno lo ha morso,fu una notte di natale,fu alle gambe e gli ci volle un mese per riprendere a camminare. Il giorno dopo infatti è uno straccio e sarà la prima e l’unica volta che lei gli chiederà di fare all’amore e lui le dirà di no. Troppa birra knock out. Per quel giorno l’India li lascia soffrire in quella camera di albergo,credendo di organizzare qualcosa,forse l’ultimo giorno di tenerezza di innamorati.

Di giorni ne sono passati dieci, hanno contattato persone, visto soggetti interessanti: incantatori di serpenti, fabbri, danzatori quasi sufi …ma i trasportatori di sale che vanno inseguendo sulla terra e attraverso la storia sembrano muoversi più veloci di loro.

La frustrazione comincia a farsi viva,prendere il chay,ascoltare parlare,far cerimonie è sempre più pesante. Finalmente hanno una macchina e una guida-interprete possono partire. Alle quattro di mattina .Perché alle dieci fa talmente tanto caldo che si scioglie l’asfalto della strada e guidare anche a sessanta all’ora diventa difficile. Il ragazzo vede sempre più chiaro che non dovrebbe essere lì: adesso è la guida che interessa il suo amore. Tutta la forza che potrebbe usare per raggiungere il loro scopo la usa per resistere. Per non fare scenate. Per non essere di troppo. E’ il suo grande,primo amore ed è In India che lo vede agonizzare.Riflette stanco il ragazzo:i nemici non li puoi mai prendere a pugni o a sciabolate in questo secolo.Forse è meglio così,c’è più comprensione umana ma certa gente merita comprensione?La risposta è si,comunque,e il pugno si scioglie in un palmo vuoto che rimane a guardare,le linee della mano come un mandala.

La guida oltre a posare,richiesta, le mani sul suo amore racconta anche storie antiche. Il ragazzo si concentra sulle storie. Le storie di Durga la nera,di come la devozione a Kali fece sparire una sera suo padre,ricchissimo bramino, per farlo ricomparire tre anni più tardi,completamente pazzo ,con un tumore al cervello. Storie del potere che concede ai suoi seguaci in cambio di assoluta devozione.Dell’esame che fa,all’improvviso,come certi professori di liceo,e”it will bea n hard examination”.Di come suo padre che parlava coi guardiani delle torri del silenzio non passò quell’esame. Storie di come lui partì per cercar fortuna a dodici anni e dormì all’aperto a Jaipur , l’ultima notte che pianse,nella sua vita. Di come smise la scuola per dar da mangiare alla sua famiglia.

Storie del King Kobra, il serpente gigante che quando colpisce si alza più alto degli alberi,che può volare,che se lo tocchi in mezzo alla fronte diventa d’oro e puoi tenerlo. Di come sceglie una sola compagna per la vita e se questa viene uccisa,non importa come,non importa dove,non importa quando lui ti seguirà e avrà la sua vendetta. Quella notte il ragazzo guarda fuori dal terrazzo e il King Cobra può benissimo alzarsi e colpire perché lui ha paura ed è felice.Felice perché l’India è grande,come il suo dolore,come la sua speranza,grande abbastanza da coprire il suo dolore,da celare nelle sue pieghe il grande, meraviglioso ,ultimo King Cobra. Persone, persone poi ancora persone. Volti. Altri volti. E strada,tanta strada in macchina. Tanto chay preso in salottini coloniali,in strade affollate,in squallide trading post dove tante teste sbucano da muri bassi e sono latrine con vaga reminiscenza infernal-dantesca. Su tutto la stanchezza. Come avanzare nella melassa fra caldo,piccoli furbeschi guidatori di risciò,camerieri,guide,interpreti,membri del congresso,direttori dell’istituto italiano di cultura,funzionari d’ambasciata,tassisti,nomadi. Contrattare prima, contrattare sempre,la spietata mancanza di stile della fame. La spietata mancanza di stile di chi fame non ne ha mai avuta.”Must I cold a policeman?”Non esiste più il lavoro da fare,non esiste più Jaisalmer,la città nel deserto,deve resistere il ragazzo,anche per il suo amore troppo libero e troppo infelice. L’India ha colpito con due infezioni intestinali la ragazza,lui pesa venti chili meno di quando era arrivato. La guida è andata, richiamata dalla tigre. Erano due le tigri, come nei racconti di caccia ,lui teneva sotto tiro una e l’altra lo ha preso alle spalle. Ora però non conta ,ora sono soli,soli coi loro fantasmi,soli con la sconfitta.

Lei decide di tornare,stà male. E’ sconfitta. Lui vuole restare e finire il lavoro,non importa come ma lei resterebbe con lui e lui sa che potrebbe esserle fatale. Quindi. Quindi abbandona anche lui. Anche lui stomacato in finale dall’India,da se stesso e dalla sua rinuncia. A nulla servono gli ultimi giorni a Delhi vezzeggiati e coccolati nel lussuoso Britannia. Anche in aeroporto riescono a discutere, prima di partire, con un poliziotto dai grandi,pazienti occhi scuri. Si stacca dalla pista l’aereo. E’ giorno. Sole pieno. Dall’alto rivede il ragazzo più chiara la terra che gli è apparsa scura al suo arrivo e già gli manca.Vorrebbe gridare,lasciarsi cadere dall’apparecchio giù giù nelle braccia dell’India. Piangere. Chiederle scusa. Ma è stanco secco come la terra spaccata e bianca sotto di lui. E il suo dovere ora è riportarla a casa. Poi sia quel che sia. Tentativo maldestro del suo ego di mutare in vittoria una sconfitta?L’ultima benevola carezza dell’India(“don’t mind”)che non serba rancore?Un’ultima storia gli torna in mente,quella che lo ha fatto resistere quando stomaco e cuore si aggrovigliavano come filo spinato uno sull’altro. Ritorna quella notte al Tiger Fort ,l’immancabile storia della guida.

.”La tigre è forte, fortissima: è il folle fra gli animali ma il leone è più forte. Il leone è come il sacerdote fra gli animali: lui ha dei principi.” Da allora altre tigri hanno attaccato e ferito il leone,che oggi leva queste parole , come umile offerta di riconciliazione all’India,in segno di pace,e ringraziamento per avergli insegnato che il guerriero migliore non combatte.

 

FINE