Lady Barbara
Fabiola Lucidi

 

Il forte vento esploso all’improvviso respinse la Saint Claire per due volte indietro. Iniziava il quarantesimo giorno di navigazione diretto in Malesia, e niente, in questo giorno si differenziava dagli altri. Annotavo minuziosamente i miei pensieri sul diario; intingevo la penna nella boccetta dell’inchiostro, sistematicamente, riversavo sulle pagine bianche le mie impressioni, le mie gioie, i miei dubbi, le mie paure. Era un modo come un altro per esorcizzare i timori del lungo viaggio. Le vele raccoglievano la forza del vento, e trasmettevano alla nave impulso e movimento. L’albero traversale, quello che sporgeva fuori della prua e reggeva la velatura, sembrava sospeso tra cielo e mare, si alzava e si rituffava nell’acqua con pesante regolarità. Via via che la nave si avvicinava alla costa, vedevo imponenti scogliere emergere minacciose dalle acque, dolci pendii che sovrastavano le formidabili pareti di roccia, ricoperte da un lussureggiante manto di vegetazione spontanea, in contrasto con l’azzurro irreale del mare. Mia cugina, nelle sue lettere mi raccontava di come fosse bella la Malesia, soprattutto di quanto fosse meravigliosa Mompracem, la terra che per anni l’aveva ospitata. Povera Marianna, abituata a bere il the in raffinate tazze di porcellana, si era trasferita in una giungla infestata d’insetti e animali feroci, stordita dai suoni primitivi di tamburi, flauti e cembali; ma là aveva conosciuto l’amore; un amore troppo presto e troppo ingiustamente spezzato. Un amore cancellato dal tempo, ma non dal cuore. Le sue lettere anche se lette molte volte, non smettevano di appassionarmi: i pesci chiaramente distinguibili sotto il pelo dell’acqua, il vento che sferzava il suo volto abbronzato, i suoi capelli, sotto i raggi del sole che baluginavano   riflessi biondi naturali. Era così minuziosa Marianna nel descrivermi le sue giornate, a volte mi bastava chiudere gli occhi per ripercorrere con la mente ogni attimo della sua vita. “Buonanotte dolce principessa… le schiere d’angeli ti conducano cantando al tuo riposo.”
All’improvviso un grido attraversò le mie orecchie e fece correre un brivido di terrore per tutta la nave.

- “Nave pirata a tribordo”.

All’esterno tutta la nave risuonava di grida, era un susseguirsi d’urla rabbiose, immolate di paura, che si protraevano fino alle stive. La porta della cabina si spalancò di colpo. La magra figura di Sir Williams si stagliò davanti al mio sguardo pietrificato.                 

-          Milady, siamo stati attacchi dai pirati, devo portarvi al sicuro, nella stiva delle gomene.

Continuai a bere in silenzio il the, mentre il sole che tramontava tingeva di rosso il cielo.

-          La stiva delle gomene, una nobile donna inglese come me, rinchiusa in una stiva?

-          Milady, devo rendervi salva la vita, per la vostra famiglia e per il vostro fidanzato.

Ebbi un sussulto, picchiai con violenza il tacco della scarpa sul pavimento, poi con un lampo d’orgoglio rimproverai aspramente Sir Williams esponendo le mie ragioni:

-          Che differenza volete che faccia una cannonata presa nella cabina, oppure nella stiva… mi dispiace ma resterò qui, non ho nessun’intenzione di finire tra botti di rum e topi in fuga.

Mi rendevo conto che tutto stava succedendo troppo in fretta. Bevevo il the a piccoli sorsi, riempiendomi i polmoni dell’odore salmastro del mare. Sir Williams tirò su un sospiro di rassegnazione, fece un inchino, mi salutò e lasciò la cabina. Appena la porta fu chiusa, premetti con forza la cassapanca, la spinsi contro la parete. Ci salì e, dalla piccola finestra affacciata sul mare, guardavo quanto succedeva. La Saint Claire aveva aperto i portelloni e puntava le bocche dei cannoni verso la nave pirata, dove a duecento braccia, lasciava sventolare una bandiera rossa, al centro della quale campeggiava una testa di tigre.

-          Sono davvero dei pirati.

Un gran fragore attraversò la nave da poppa a prua, sollevandola. Una nuvola di fumo si perdeva, si stracciava lenta nell’aria inquinata di sangue. La prima bordata inglese, mancò il vascello pirata. Dalla finestra vedevo la mole del brigantino nemico ingigantirsi, fino a sembrare un’enorme muraglia e, nell’estremo superiore della prua, come polena, la gola spalancata di una tigre sembrava avventarsi sulle onde. Presa da una sorte d’orribile malia, vidi spuntare, delle teste arruffate. Seguì un urto devastante, le due navi erano entrate in collisione. Furono lanciati dei rampini e l’abbordaggio ebbe inizio… Il soffitto vibrava di rumori d’armi, continui urti e cadute. La porta della cabina si spalancò per la seconda volta e il volto di Sir Williams, era più pallido del solito.

-          Milady seguitemi, vi porto in salvo.

-          Ho la più totale fiducia dei nostri  uomini Sir Williams, poi la flotta inglese non è forse la migliore del mondo?

-          Naturalmente Milady... non temete in meno di un’ora vedrete, la testa di questi pirati, sospese nell’aria.

Nemmeno finì di pronunciare l’ultima parola, che davanti ai nostri occhi una gamba era entrata dalla finestra, seguita da un corpo mutilato che scivolando cadde nella cabina.  Ebbi il tempo di vedere che il corpo era senza testa, lo spettacolo fu così impressionante, che soffocai l’urto in fondo alla gola, di rimando, portai le mani in faccia, nascondendo alla vista quell’atroce esecuzione. In quel momento la cabina cominciò a tremare sotto dei colpi ripetuti. Colpi che non lasciavano dubbi: i pirati usando un’ascia stavano facendo saltare la porta. Sir Williams, con un balzo andò a nascondersi in fondo alla cabina, dietro al tavolo; io rimasi al centro della stanza, mentre la porta saltava in aria in mille pezzi. Un’ombra possente penetrò nella stanza facendo irruzione con in mano una scintillante spada affilata. Dalle labbra di Sir Williams, fuggiva di tanto in tanto un lamento, raggomitolato contro la parete guardava con occhi stizziti di paura, sembrava un sorcio preso in trappola. Il pirata fece roteare la sua lama davanti ai miei occhi, mi sfiorò il viso, con sguardo sdegnato e furioso. Lo guardavo non riuscendo ad impedirmi di ammirarne l’eleganza e il portamento. La stupenda casacca di velluto rosso, i pantaloni di seta verde, gli stivali di cuoio rosso, la scimitarra con l’impugnatura d’oro, tutte queste cose mi affascinavano, ma c’era oltre l’abbigliamento, il fascino selvaggio che da quell’uomo promanava; ed era qualcosa di molto composito in cui non mi rendevo conto e che non potevo analizzare. Tuttavia ne subivo il fascino. Afferrai la spada sul tavolo.

-          Andiamo pirata, vediamo se siete bravo anche come spadaccino!

-          Mano alla sciabola Sir e che vinca il migliore.

Il pirata era un ottimo schermitore: alto, magro, agile; la spada gli guizzava fra le mani, veloce, luminosa, girava vorticosa davanti al mio sguardo attonito; si nascondeva sul fianco, e di nuovo vibrava la sua lama attorno alle mie vesti. Dopo alcuni istanti, il pirata indietreggiò di un passo, e si rimise in guardia come per vedere con chi avesse a che fare. Restammo immobili per qualche minuto, il tempo necessario per guardarci negli occhi e vedere scolpito sul suo viso un sorriso sornione, in contrasto con l’odio che in me permeava. Ritirai la mia spada facendola strisciare lenta su quella dell’avversario. Un fremito improvviso si mosse su tutto il mio corpo, con la rapidità di un lampo, arretrai; vidi un lembo della camicia pendere, nella carne nuda, la punta rossa di sangue.

-          Milady! Gridò Sir Williams

-          Non è nulla! - risposi - è solo un graffio. 

Il ferro aveva fatto la sua parte, aveva portato via quello che nell’impatto aveva incontrato; una striscia di carne e un drappo di stoffa. Tornammo a colpirci con le spade, e il pirata era lontano dal credere di avere di fronte una donna. I capelli l’avevo raccolti in una coda, indossavo abiti maschili, avevo un carattere forte, nobile, generoso, tipico di un maschio. Fin da bambina mio padre m’insegnò a tirar di scherma, perché potessi difendermi da qualsiasi pericolo, intimandomi però di non cercare mai vendetta cruenta. Il predone di mare, m’assaliva con la furia di chi sa d’avere a che fare con un temibile avversario, sente di dover uccidere per non essere ucciso. Ad un tratto una striscia di luce attraversò il mio sguardo, saltai indietro, abbandonai la guardia, barcollai e caddi in ginocchio sul pavimento. La lama brillante del pirata si posò sul mio cuore.

-          No… Milady… no…

Il sudore scendeva leggero dalla mia fronte, vidi il corpo di Sir Williams, gettarsi sul mio, come se volesse farmi da scudo.

-          Uccidete me, ma lasciate in vita Lady Barbara!

Non so cosa accadde dopo, ricordo solo che qualcuno mi prese tra le sue braccia e mentre mi portava sulla nave dei pirati, vedevo la Saint Claire inabissarsi nelle onde, come un mostro mitologico. Le ultime fiamme divorarono le vele bianche, tutto restava sospeso sul filo dell’acqua, poi agognante scomparve definitivamente. Il vento trascinò via l’ultimo frammento di calore, accarezzando la bandiera rossa del brigantino pirata. Tutti i miei uomini erano morti, qualcuno annegato in mare, altri trucidati dalla furia dei pirati. Gli unici sopravvissuti eravamo io e Sir Williams. Sottocoperta c’era un ciccione che puzzava di pesce appena pescato, che, seduto dormiva gaiamente.

-          Benvenuta a bordo Milady

Riuscì appena ad alzare la testa dal cuscino, una fitta lungo la spalla mi ritrasse all’indietro. Conoscevo quella voce, era quella del pirata che mi sfidò a duello; la dolcezza delle sue labbra, la sua voce profonda, avrebbero di sicuro colorato di rosa i miei sogni.

-          Mi chiamo Barbara… figlia di Lord Brooke… Vi dice qualcosa questo nome avventuriero?

Una leggera brezza entrava dalla finestra senza vetri. Nonostante la mia difficoltà nel dialogare, riuscivo a leggere negli atteggiamenti del pirata un gran senso di pietà nei miei confronti, misto a meraviglia per qualcosa.

-          Vostro padre una volta mi fece bere dello yuma, una bevanda a base d’upa, dingo fruticans e sangue di babirussa… è un segreto dei dajacchi… una dose sbagliata può uccidere, oppure portare alla pazzia, ma lui è stato così scaltro ed intelligente, da farmi bere la dose giusta, per indurmi a rivelare i miei segreti.

La sua pelle era liscia, il volto ben rasato, il mento poggiava sulle robuste mani incrociate. 

-          Siete un seguace della Tigre della Malesia?

Stava per rispondermi, quando un tigrotto entrò nella cabina senza annunciarsi.

-          Yanez gli uomini vogliono parlarti, ti aspettano sul ponte.

L’equipaggio si serrò intorno al loro capitano, portavano ancora le tracce del combattimento: macchie di sangue sulle camicie, ferite da curare, fatica e rancore sui tratti selvaggi del viso.

-          Capitano consegnaci i prigionieri… ci pensiamo noi a sistemarli!

Si misero a gridare insieme, proponevano come schema d’esecuzione una corda saldata al collo. Le grida raggiungevano impavide la mia stanza, mostravo indifferenza e coraggio, ma avevo paura. La mia vita e quella di Sir Williams era legata ad un filo.   

-          Non torcerete un capello ai prigionieri.

Un improvviso silenzio pervase gli animi dei tigrotti. Le ferite erano ancora vive e, la delusione di un magro bottino, era cocente. La battaglia era stata dura, dieci di loro erano morti in combattimento, altri avrebbero subito delle amputazioni, altri sarebbero morti di cancrena. Non avevano ottenuto niente, solo due prigionieri… e su di noi volevano sfogare tutta l’ira.

-          Se non vuoi darci la donna, almeno dacci Sir Williams… lo appenderemo all’albero maestro.

-          “Basta, i prigionieri non si toccano”, tuonò Yanez. Il bottino non è in fondo al mare è sulla nostra nave… sapete chi è la signorina…

I suoi uomini lo guardavano senza capire. Una risata ironica uscì dalla bocca del capitano.

-          E’ la figlia di Lord Brooke… sapete la sua famiglia quant’è disposta a sborsare per riabbracciare la dolce ragazza, completa di cane da guardia?

Una selva di braccia si alzò sul ponte della nave. Erano tutti concordi con il loro capitano. Quella sera il rum scivolò nelle gole arse dei pirati come un fiume in piena. Fischi, urla, canti si protrassero fino alle prime luci del giorno, quando la stanchezza e i fumi dell’alcool, fece collassare tutto l’equipaggio in un sonno catalettico.

La mattina dopo trovai Yanez sul ponte, che masticava tabacco, una buona pipata era un lusso che i pirati potevano permettersi solo a terra, poiché le navi in legno prendevano fuoco facilmente.

-          Buongiorno Milady dormito bene?

I suoi occhi scivolarono velocemente sul mio corpo, fino alle caviglie che i pantaloni tirati su scopriva.

-          Come avete conosciuto Sandokan?

-          Avevo avuto un passaggio da una nave che trasportava merci. In quell’occasione fu attaccata dai pirati malesi. Ci fu un arrembaggio. Ad un tratto vidi il capitano portoghese puntare la pistola contro la schiena del capo dei pirati… Avevo la pallottola in canna… in quell’istante ho avuto nelle mie mani la vita di due uomini… alla fine ho scelto… ho premuto il grilletto sul capitano portoghese. Il pirata era Sandokan… da quel giorno la mia vita è la sua.

Yanez si chinò davanti a me sfiorandomi le dita con un bacio.

-          Permettetemi di farvi vedere il vostro nuovo alloggiamento.

Lo guardai a lungo, senza lasciarmi turbare dal suo sguardo carezzevole. Alcuni tigrotti si davano del gomito ridendo. Nessuno notò la fiamma di luce che si rispecchiava negli occhi di Yanez, forse perché un’espressione del genere sul volto del loro capitano non s’era mai vista.  

Fui rinchiusa insieme a Sir Williams, in una cabina sotto coperta. Qualche giorno dopo la nave fece scalo a Mancara e un messaggero partì con la richiesta di riscatto. Per giorni navigammo uno accanto all’altro, in una nave maleodorante e fatiscente. Mi accorsi stando accanto ai pirati, che la loro vita era sospesa sul mare, legata ad un filo di lama, dove tutto si bruciava e si consumava in pochi istanti, a volte una vita umana valeva un colpo di pistola. La mia famiglia pagò il riscatto, ma non ritornai mai in Inghilterra. Ancora oggi quando il sole tramonta, e sulla foresta tropicale, cala fulmineo il buio della notte, me ne sto sulla veranda ad ammirare il paesaggio. Molti animali si preparano al riposo notturno e si affrettano a rientrare nella tana prima che cominci la caccia dei predatori notturni. Nella foresta tutto sembra per un istante fermarsi, quasi in paurosa attesa. Una temibile forma scura scivola furtiva lungo un sentiero; l’animale avanza senza fare alcun rumore; le sue poderose zampe si appoggiano sul terreno con la leggerezza di un fuscello. Inaspettatamente si ferma, immobile; alza la testa come per sentire meglio, poi si appiattisce contro il suolo. Poco dopo altri animali attraversano il sentiero; sono erbivori che vanno a bere nello stagno vicino. Ne passa uno, un secondo, un terzo. Ad un tratto la terra sembra tremare; la forma appiattita al suolo è balzata come un baleno sulla disgraziata vittima; una zampata micidiale le spezza la spina dorsale: è una tigre!


FINE