Capitolo II

FEROCIA E GENEROSITA'

All'indomani, qualche ora dopo il levar del sole, Sandokan usciva dalla capanna, pronto a compiere l'ardita impresa. Era abbigliato da guerra: aveva calzato lunghi stivali di pelle rossa, il suo colore favorito, aveva indossato una splendida casacca di velluto pure rosso, adorna di ricami e di frange, e larghi calzoni di seta azzurra. Ad armacollo portava una ricca carabina indiana, rabescata e da lungo tiro; alla cintura una pesante scimitarra dalla impugnatura di oro massiccio e dietro due kriss, quel pugnale dalla lama serpeggiante e avvelenata, tanto caro alle popolazioni della Malesia. Si arrestò un momento sull'orlo della gran rupe, scorse col suo sguardo d'aquila la superficie del mare, diventata liscia e tersa come uno specchio, fissando l'oriente.
- E' là, - mormorò egli, dopo alcuni istanti di contemplazione. - Strano destino che mi spingi laggiù. Dimmi se mi sarai fatale! Dimmi se quella donna dagli occhi azzurri e dai capelli d'oro, che ogni notte turba i miei sogni, sarà la mia rovina!
Scosse il capo come se volesse scacciare un cattivo pensiero, poi a lenti passi discese una stretta scaletta aperta nella roccia, che conduceva alla spiaggia, Un uomo lo attendeva ai piedi della scala: era Yanez.
- Tutto è pronto, - disse questi. - Ho fatto preparare i due migliori legni della nostra flotta, rinforzandoli con due grosse spingarde.
- E gli uomini?
- Tutte le bande sono schierate sulla spiaggia, coi loro capi. Non avrai che da scegliere le migliori.
- Grazie Yanez.
- Non ringraziarmi, Sandokan: forse ho preparata la tua rovina.
- Non temere, fratello mio; le palle hanno paura di me.
- Sii prudente, molto prudente.
- Lo sarò e ti prometto che, appena avrò veduta quella fanciulla, ritornerò.
- Dannata femmina! Strangolerei quel pirata che pel primo la vide e te ne parlò.
- Vieni, Yanez.
Attraversarono una spianata, difesa da grandi bastioni, e munita di grossi pezzi di artiglieria, di terrapieni e di profondi fossati, e giunsero sulle rive della baia, in mezzo alla quale galleggiavano dodici o quindici velieri, chiamati prahos. Dinanzi ad una lunga fila di capanne e di solidi fabbricati, che parevano magazzini, trecento uomini stavano schierati in bell'ordine, in attesa d'un comando qualunque per slanciarsi, come una legione di demoni, sulle navi, e spargere il terrore su tutti i mari della Malesia. Che uomini e che tipi! Vi erano dei Malesi, di statura piuttosto bassa, vigorosi, e agili come scimmie, dalla faccia quadra e ossuta, dalla tinta fosca, uomini famosi per la loro audacia e ferocia; dei Battias, dalla tinta ancor più fosca, noti per la loro passione per la carne umana, quantunque dotati di una civiltà relativamente assai avanzata: dei Dayaki della vicina isola di Borneo, di alta statura, dai lineamenti belli, celebri per le loro stragi, che valsero loro il titolo di tagliatori di teste; dei Siamesi, dal viso romboidale e gli occhi dai riflessi giallastri; dei Cocincinesi, dalla tinta gialla, con il capo adorno di una coda smisurata; e poi degli Indiani, dei Burghisi, dei Giavanesi, dei Tagali delle Filippine, e infine dei Negritos con le teste enormi ed i lineamenti ributtanti. All'apparire della Tigre della Malesia, un fremito percorse la lunga fila dei pirati; tutti gli occhi parvero incendiarsi e tutte le mani si raggrinzarono attorno alle armi. Sandokan gettò uno sguardo di compiacenza sui suoi tigrotti - così infatti amava chiamarli - e disse:
- Patan, fatti innanzi.
Un malese, di statura piuttosto alta, dalle membra poderose, la tinta olivastra, e vestito d'un semplice sottanino rosso adorno di alcune piume, avanzò.
- Quanti uomini conta la tua banda? - gli domandò Sandokan.
- Cinquanta, Tigre della Malesia.
- Tutti buoni?
- Tutti assetati di sangue.
- Imbarcati su quei due prahos, e cedine la metà al giavanese Giro-Batol.
- E si va?
Sandokan gli lanciò uno sguardo, che fece fremere l'imprudente, quantunque fosse uno di quegli uomini che si ridono della mitraglia.
-Ubbidisci, e non una parola se vuoi vivere, - gli disse Sandokan.
- Il malese s'allontanò rapidamente, traendosi dietro la sua banda composta di uomini coraggiosi sino alla follia e che ad un cenno di Sandokan, non avrebbero esitato a saccheggiare il sepolcro di Maometto, sebbene fossero tutti maomettani.
- Vieni, Yanez, - disse Sandokan, quando li vide imbarcati.
Stavano per scendere la spiaggia, quando furono raggiunti da un brutto negro, dalla testa enorme, dalle mani e dai piedi di grandezza sproporzionata, un vero esemplare di quegli orribili negritos che s'incrociavano nell'interno di quasi tutte le isole della Malesia.
- Che cosa vuoi e da dove vieni, Kili-Dalù? - gli chiese Yanez.
- Vengo dalla costa meridionale. - rispose il negrito, respirando affannosamente.
- E ci rechi?
- Una buona nuova, capo bianco; ho veduto una grossa giunca bordeggiare verso le isole Romades.
- Carica? - chiese Sandokan.
- Sì. Tigre.
- Sta bene, fra tre ore cadrà in mio potere.

continua ...



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