Un'altra India misteriosa


Ho sempre amato leggere Salgari.
Rispetto a Conrad, i cui eroi sono solo delle miserie umane o a Verne, i cui protagonisti sono gente istruita e molto poco simpatica (fa eccezione Michele Strogoff), Emilio Salgari ha, dalla sua, personaggi avventurosi a tutto tondo, con grandi valori umani. Qualcuno potrebbe non essere d'accordo, ma per me è così. Ho amato subito leggere le avventure di Sandokan e Yanez, ed ho cercato di leggerne perfino le avventure apocrife, che, a parte Il fantasma di Sandokan, sono anch'esse molto avvicenti.
Ma Salgari non è stata la mia sola lettura. Mi hanno sempre attirato (come immagino accada anche a molti altri, presumo) i misteri. E uno dei migliori autori che parlano di misteri è stato Peter Kolosimo, insieme alla moglie Caterina. Ed anche Kolosimo ha parlato dell'India. Un'altra India misteriosa, che di sicuro avrebbe attratto anche Emilio Salgari se ne avesse avuto conoscenza.
Cito Kolosimo dal paragrafo Le città di cristallo del suo libro Non è terrestre: "C'è un paese che ha conservato più vivo e realistico il ricordo dei voli e delle battaglie d'un lontanissimo passato: l'India".
E prosegue citanto antichi testi indiani dove sembrano avvenire conflitti tra antichi dei indiani realizzati con armi modernissime: "Il Drona Parva ci parla del 'signore Mahadeva' e delle sue terribili lance volanti (missili?) capaci di distruggere intere città fortificate...". E ancora: "E' possibile che non siano rimaste tracce di questi allucinanti conflitti? Le tracce ci sono, e numerossime - ci rispondono gli indagatori, - solo che ci prendiamo il disturbo d'andarle a cercare. Non è un'impresa facile, s'intende, poiché la giungla s'è chiusa da millenni sulle rovine...".
Già la giungla, o Jungla come amava chiamarla Salgari, nasconde ancor oggi sinistri segreti del passato del nostro pianeta. Kolosimo prosegue scrivendo: "L'esploratore De Camp, ad esempio, riferì d'aver visto, nella zona che si stende fra il Gange ed i monti Rajmahal, ruderi carbonizzati da qualcosa che non poteva essere un semplice incendio, per furioso che fosse: alcuni massi giganteschi apparivano fusi e scavati in vari punti, come blocchi di stagno colpiti dagli schizzi d'una colata d'acciaio. In rovine analoghe s'imbatté, negli 'anni venti', l'ufficiale britannico J. Campbell, più a sud...".
Kolosimo non si è inventato niente. Riferisce notizie prese da altri testi. Ma anche se fossero fantasie potevano andar bene per ambientare un'avventura di Sandokan velata di Magia e di Fantastico. E così ho scritto Sandokan sotto la luce sinistra della luna.
Ma la domanda che mi tormentava, fino a pochi mesi fa, era: sono davvero fantasie?
Quando nel 1857, espolse la rivolta dei Sepoys, che il nostro Salgari ha descritto ne Le due tigri, essa venne repressa nel sangue. I numerosi morti che insaguinarono l'India spaventarono a tal punto le stesse autorità inglesi che vennero finalmente approvati programmi tesi a favorire l'integrazione culturale tra i due popoli, Indiani e Inglesi. E' così che nacque il Servizio Archeologico indiano che è, a tutt'oggi, la più grande istituzione di ricerca archeologica esistente al mondo. O almeno riferiva così l'enciclopedia Viaggio nelle meraviglie dell'Archeologia della DeAgostini, uscita nel 1995. La stessa enciclopedia riferisce anche che due fratelli inglesi, John e William Brunton, avevano avuto l'incarico dal loro governo di dirigere i lavori di costruzione di un nascente tratto di ferrovia. Un tratto che andava dalla città di Karachi, nel Sindh, a quella di Lahore, nel Punjab (ora entrambe in territorio pakistano). I binari della ferrovia in Europa sono collocati su traversine di legno, ma in quel particolare frangente, John ebbe la geniale idea di usare pietre di antichi monumenti così che oggi, gran parte dei monumenti della città protostorica di Harappa si trovano sparsi lungo una linea di circa 200 km, sotto i binari del treno. Lo scempio venne fermato dal direttore del Servizio Archeologico indiano sir Alexander Cunninghan, ma purtroppo, nel 1873, i livelli superiori del sito erano ormai del tutto scomparsi. Era comunque scoperta la dimenticata Civiltà dell'Indo, le cui principali città sono Harappa e Mohenjio-Daro. Città che si estendevano per almeno 80 ettari, e a cui si è aggiunta un'altra enorme città, Ganweriwala, collocata nel deserto di Bahawalpur, sempre nell'attuale Pakistan.
Nella città di Mohenjio-Daro, gli scavi archeologi hanno rivelato il perfetto piano urbanistico, caratterizzato da un tracciato viario a scacchiera. Insomma, città modernissime nell'Età del Bronzo in India. Città dove sono stati trovati utensili, giocattoli, ma quasi nessun corpo, od ossa degli abitanti. Come se gli abitanti avessero lasciato le città improvissamente. Mi tornavano prepotentemente in mente i racconti di Kolosimo, ma forse era solo la mia fantasia eccitata a crear fantasmi dove non ci sono. Forse!
Un mio amico, Galileo Ferraresi, sarebbe degno di essere una creatura di Salgari. Il vero tipo dell'avventuroso. Pensate con la sua barca a vela di quattordici metri, insieme alla sua compagna Marina, sono andati e tornati dall'Antartide, passando il pericoloso tratto di mare che separa l'Argentina dal polo sud. Non ci sono certo andati perché un fine settimana non sapevano dove sbattere la testa, ma per trovar prove che una volta, laggiù, il clima era diverso. Con Galileo abbiamo realizzato due libri, L'Avventura di Rata & Maui sulle imprese oceaniche compiute dagli antichi Egizi, e Silvestro II, il Papa dell'anno Mille.
In una delle nostre conversazioni telefoniche siamo arrivati a parlare di Mohenjio-Daro e Harappa.
Galileo, negli anni '70, (proprio quando Kabir Bedi si trovava in Europa a interpretare Sandokan) era in India e con la sua macchina fotografica ha immortalato vari posti dell'India allora poco conosciuta, finché non arrivò il momento di ritornare. Vendette il suo apparecchio e con una borsa piena zeppa di rullini, prese la via del ritorno per terra. Passò il Pakistan, su fino alla Turchia e poi dalla Grecia in Italia. E in Pakistan poteva non visitare le mitiche antiche città dell'Indo? Certo che no. Infatti le vide. E mi ha raccontato che le mura esposte a sud sono vetrificate, come avviene quando un oggetto è sottoposto a una temperatura altissima, e così come fecero a Pompei, che scavando trovavano i vuoti dei corpi e li riempivano di cemento, così fecero in India. Ma in India non ci sono forme di persone che stavano male o che cercavano di fuggire, ma, ad esempio, forme di una donna che passeggia per strada con il figlio ed anche di un vasaio ancora intento al suo lavoro.

Marco Pugacioff


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