Emilio Salgari e Giacomo Bove: due destini incrociati



Quando il ventenne Salgari, nei primi anni ‘80 dell’Ottocento, torna nella sua Verona e inizia a recitare la parte del capitano di gran cabotaggio che ha viaggiato per tutto il mondo, quante persone c’erano, in Italia, che davvero erano state in tutti i continenti, e avevano navigato tutti e cinque (compresi Artico e Antartico) gli oceani?
Pochi certamente, se non pochissimi. Forse non molti più di uno. Almeno uno, però, c’era di sicuro.

Giacomo Bove, figlio di viticultori, era nato nel 1852 a Maranzana, un paesino dell’Astigiano. Non esattamente una fucina di navigatori. Fu quando si trasferì a Genova per frequentare le scuole superiori che vide per la prima volta il mare. Riuscì poi a farsi ammettere all’Accademia Navale, nonostante l’estrazione contadina e la condizione sociale dei genitori, perché essi acconsentirono a rifornire del loro buon vino astigiano la mensa degli ufficiali per tutta la durata dei suoi studi (1).
Entrò quindi in Marina, dove avrebbe infine raggiunto il grado di capitano.

Bove si rivelò uno studente estremamente brillante, tanto che a soli vent’anni si diplomò con tutti gli onori, e subito dopo fu scelto a partecipare a una spedizione italiana in Estremo Oriente, in cui sarebbe stato il cartografo. Rimase qualche tempo in Giappone, poi trascorse anche un mese nel Borneo (eccoci...) per mappare le coste settentrionali della grande isola.

Ancora giovanissimo, Bove divenne il più quotato cartografo nautico italiano.
Più tardi, ormai esploratore a tutti gli effetti, guidò lui stesso varie spedizioni: una in Patagonia e Terra del Fuoco, con l’idea di raggiungere anche l’Antartide (cosa che si rivelò impossibile per mancanza di fondi); un’altra nel cuore del Sudamerica, nel bacino superiore del Paranà; l’ultima, all’età di 33 anni, in Africa centrale.

Ma il prestigio di Bove è legato soprattutto alla sua partecipazione alla spedizione Vega dell’esploratore finno-svedese Adolf-Erik Nordenskjöld.
Grazie alla qualità del suo lavoro nella spedizione asiatica e delle sue perizie sulle correnti nello Stretto di Messina, Bove a ventisei anni venne scelto, con le mansioni di cartografo idrografo e astronomo, come uno dei sette scienziati a bordo, l’unico non nordico.
Il viaggio della Vega durò due anni. Partito da Karlskrona, in Svezia, il veliero entrò nel Mar Glaciale Artico e prese a navigare verso est, lungo la Siberia settentrionale, con l’intento di sboccare poi nel Pacifico attraverso lo Stretto di Bering, il famoso Passaggio a Nordest che nessuno ancora aveva trovato né provato. La spedizione poté delineare coste fino allora ignote, e vennero anche scoperte e mappate molte isole. Una fu chiamata Isola Bove (Bove Ostrov).
Alla fine della prima estate, i ghiacci bloccarono la nave. Era previsto. Nordenskjöld e i suoi, preparati, avevano di che sopravvivere, e intanto svernarono tra i Ciukci, popolo pressoché sconosciuto, con cui fecero amicizia e di cui annotarono le usanze.
Dopo non molto meno di un anno (cosa dovette essere, un lunghissimo inverno nell’estremo nord della SIberia!) i ghiacci che imprigionavano la nave finalmente si sciolsero e la navigazione riprese. Lo Stretto di Bering fu raggiunto e oltrepassato festeggiando a salve di cannone, e si prese terra in Alaska.
Il viaggio proseguì poi lungo le coste asiatiche, il Pacifico e poi l’Indiano, quindi il Mar Rosso e, attraversato il canale di Suez, la Vega toccò di nuovo la terraferma europea, attraccando a Napoli il 14 febbraio 1880. Bove ed altri scienziati scesero qui, ma Nordenskjöld continuò e condusse la nave fino a Stoccolma, per completare la prima intera circumnavigazione del continente eurasiatico. Tanto a Napoli che a Stoccolma ci furono grandi celebrazioni per la l’impresa portata a termine con successo, cosa niente affatto scontata alla partenza.

Salgari aveva allora diciassette anni. Probabilmente era a Venezia. L’eco di quel viaggio era stata grande, e non è improbabile che abbia contribuito alla formazione della sua immaginaria identità di uomo di mare.
Si potrebbe dire che Bove era quel che Salgari avrebbe voluto essere, e anche, in qualche misura, quel che di lì a poco avrebbe detto d’esser stato. E non c’è solo il Borneo a legare insieme i loro destini.
Mentre Salgari muoveva i suoi primi passi di cronista sui giornali di Verona e di romanziere di appendice, Bove era sempre impegnato in nuove spedizioni. Era un uomo di un’energia fuori del comune, e di sicuro non gli mancava il coraggio.
Ma la sua vita sarebbe durata poco. Tornò dall’Africa alla fine del 1886. Era malato, e le cure non sembravano venire a capo di nulla.
Il 9 agosto 1887, Giacomo Bove stava tornando in treno da Vienna diretto a casa, a Genova. Invece si fermò a Verona, prima città italiana sul percorso. Andò a comprare una pistola e si incamminò verso l’uscita della città. E accomodatosi all’ombra di un albero, si sparò. Aveva trentacinque anni.
A Salgari, che non aveva mai incontrato Bove in vita sua, toccò andare sul luogo per poi scrivere il servizio per L’Arena. Quel Giacomo Bove di cui certamente tanto aveva letto, e a cui forse, in parte, si era anche ispirato, lo vide ora, lì, appena morto.

Non c’è solo il Borneo dicevo, e i viaggi fatti dall’uno e immaginati dall’altro.
Bove, nato (in aprile) in Piemonte, trasferito a Genova, morì suicida a Verona (in agosto).
Salgari, nato (in agosto) a Verona e vissuto anche a Genova, morì suicida a Torino (in aprile).
Si direbbe che il destino abbia voluto metterli allo specchio, l’uno l’immagine rovesciata dell’altro.
Un capitano di mare vero. L’altro, diciamo così, ad honorem (che peraltro avrebbe pienamente meritato).
Ma, per tutti, Cap. Bove e Cap. Salgari.

Salgari scrisse tre articoli sulla morte di Bove: uno sul ritrovamento, uno sull’arrivo a Verona della moglie, e uno sul tributo della città alla salma, in partenza per Genova dove avrebbero avuto luogo i funerali ufficiali (2).
In uno di essi Salgari cita le lettere che, come poi lui stesso avrebbe fatto, Bove aveva lasciato: una per la famiglia e una “pubblica”. A quest’ultima, Bove prima di uccidersi aveva aggiunto una postilla. E Salgari, che ha ormai la mano del narratore, la riporta chiudendo con essa l’articolo:

Nella lettera alla Questura si trova scritto a tergo con matita: «Anedotto: Quando ieri mattina andai a prendere il revolver da un armaiuolo della città mi disse: - Signore, quest'arma ammazzerebbe un bove. Fatalità! ed io son Bove». (3).



Cristiano Calcagno



NOTE:

1) Notizie sulla vita di Bove reperite da Vita di Giacomo Bove, dal sito dell’Associazione Culturale Giacomo Bove & Maranzana, www.giacomobove.it

2) Da Una Tigre in Redazione, a cura di Silvino Gonzato, Venezia, 1994

3) Ibidem.



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