Sandokan sotto la luce sinistra della luna


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Cap. 1

La donna leopardo

 

 

Sandokan è sfinito. Le sue sfuriate diventano sempre più frequenti e a farne le spese sono i bottini dei suoi arrembaggi, quadri preziosi, gioielli, tappeti finemente intarsiati. Egli fa di tutto per dimenticare le orrende visioni del massacro della sua famiglia che la memoria fa riaffiorare, ma è inutile. In più, il formidabile pirata non capisce perché nelle notti in cui la luna si alza alta nel cielo, l’immagine di una fanciulla bianca che vide di nascosto quando lei era bambina si sovrapponga a quelle immagini.

Le tazze di arak non aiutano certo il suo equilibrio mentale, seduto sulla sua poltrona, con lo sguardo fisso nel vuoto, sembra l’immagine di un pazzo, solo con i suoi fantasmi e il suo odio.

Poi, d’improvviso, dalla terrazza entra una lontana melodia.

Essa sale dal villaggio di Gjehawem, dove vivono i suoi tigrotti e le loro famiglie. Non può far altro che alzarsi e dirigersi verso la porta della sua dimora con un passo felino quasi innaturale nel suo giovane corpo così nerboruto, ove  i forti muscoli sembrano fili d’acciaio intrecciati. Dalla rupe tagliata a picco sul mare, Sandokan cerca con lo sguardo la provenienza di quella melodia. Subito la sua vista si ferma sul villaggio che si stende ai suoi piedi, e, inoltrandosi in mezzo ad un vero labirinto di trincee sfondate ingombre di armi infrante e in cui fanno capolino teschi umani, la Tigre inizia a scendere. Non accade spesso che Sandokan abbandoni la sua residenza e scenda nel villaggio, ma stasera il lampo di follia che aleggia nei suoi occhi sembra svanito.

È da anni che il suo viso non è così disteso, così tranquillo. Finita la discesa, la Tigre è attratta da un gruppo di persone che, in riva al mare, sulla sabbia finissima e bianca, fanno cerchio a una danzatrice. Una baiadera, venuta da chissà dove, intenta ad una danza sfrenata accompagnata dai tamburi e dai flauti dei tigrotti, intona con voce melodiosa un canto trasportato dal vento, la melodia che ha incantato Sandokan. Alla luce del fuoco, le forme della ragazza accendono una furiosa passione nel sangue ardente della Tigre della Malesia.

Poi il canto cessa e con esso la danza. La baiadera è inginocchiata sulla sabbia di fronte al fuoco, il suo sguardo felino gira intorno a sé finché non si ferma sul capo dei pirati. Gli occhi scuri della danzatrice lanciano mute promesse di amore infuocato alla Tigre. La ragazza si rialza in piedi e si incammina verso la foresta, Sandokan sente qualcosa tormentargli l’anima ed è costretto a seguirla. Dietro un gruppo di alberi di fronte al mare, dove inizia la foresta e lontano dal villaggio, la baiadera si ferma. Si gira lentamente e silenziosamente, appoggiando la sua mano su di un albero, e con lo sguardo fissa il giovane capo dei pirati.

-        Dimmi, perché sei qui a Mompracem? – le domanda a questo punto Sandokan.

Con uno strano sorriso la baiadera gli risponde:

-        Sì, è bene che tu lo sappia Sandokan…!

La danzatrice si acquatta nell’ombra. La Tigre sente immediatamente una sensazione di pericolo scivolare lungo la sua schiena e poco dopo la baiadera ricompare ma… in una nuova forma! Una pantera scivola sul tronco dell’albero verso Sandokan e inizia a parlare in una voce sgradevole, malvagia:

-        Io vengo da Sarawak!

-        Sarawak! Allora tu sei una spia di Brooke!

-        ! E fra poco morrai perché Brooke ha pagato per ucciderti!

-        Ne sei così sicura, donna pantera?!

Comparso come per magia, il Kriss di Sandokan luccica sotto la luce della luna, mentre la donna-pantera spicca un salto verso la Tigre. La demoniaca creatura non può certo aspettarsi che, con un furore pazzesco, Sandokan si scagli a sua volta verso di lei.

L’impeto dell’attacco della Tigre è tale, che la donna-pantera si sente afferrare sul collo con una forza sovrumana. I due corpi sembrano allacciati in una mortale danza che apre nei muscoli di Sandokan ferite prodotte dagli artigli della belva poi la donna-pantera può sentire il tremendo dolore del kriss affondato nella sua spalla. Ora il capo dei pirati ne tiene nella mano solo il manico, l’urto tremendo ha spezzato la lama, lasciandola nel corpo del felino.

La donna-pantera afferra con i denti la lama infilzata nella spalla e se la strappa via. Sputatala a terra, con i suoi occhi fissa il formidabile pirata ed esclama:

-        Credi forse che un pezzo di ferro possa fermarmi? Illuso! Le mie ferite – continua - guariscono in fretta. Niente può fermarmi! Sei mio!

Detto questo la creatura infernale spicca un balzo verso Sandokan, ma con sua enorme sorpresa il giovane malese si scaglia nuovamente verso il suo avversario.

-        Canti vittoria troppo presto, signora pantera…

Con una risata pazzesca, Sandokan si issa sopra la donna-pantera, che per la prima volta in vita sua inizia a sentire un folle terrore.

-        Lasciami!

-        Scordatelo!

La donna-pantera cerca di rimuovere dalla groppa il suo avversario in tutte le maniere ma ogni sforzo è, a questo punto, inutile.

Il giovane pirata ha ormai serrato le braccia sul collo della donna-pantera, passandole sotto le zampe anteriori dell’essere demoniaco. Anche le gambe del formidabile malese serrano il corpo della donna-pantera come formidabili catene.

Sandokan, schiena a terra, percepisce il terrore della creatura assassina che tiene immobilizzata e ne gioisce.

-        Salutami Yama…

Yama, il dio indù della morte. La donna-pantera sa che per lei non c’è più scampo. Il malese inizia lentamente a forzare il collo della sua vittima. Vuole infondere terrore in chi ha sempre distribuito il terrore.

-        … quando lo vedrai giù all’inferno!  

Infine, spezza il collo alla creatura che era venuta a Mompracem per ucciderlo!

Il sinistro rumore del collo spezzato si diffonde sotto le volte della radura.

Il pirata, nonostante il sangue che esce vistosamente dalle ferite prodotte dagli artigli della belva, si alza lentamente nel silenzio più assoluto.

Poi un urlo potente squarcia le tenebre.

- Brooke! La Tigre è ancora viva!

 

 

 

Cap. 2

Fantasmi indiani

 

 

Calcutta ebbe origine da un villaggio dedicato alla dea Kalì, poi gli inglesi, per conto della famigerata Compagnia delle Indie, vi costruirono nel 1696 un forte, attorno al quale sorse la città europea. Ma in questa sera di Ottobre, tutto ciò alla fanciulla inglese non interessa, come non gli interesserebbe sapere che entro pochi anni ancora, nel 1858, sarebbe divenuta capitale dell’India. È alla disperata ricerca del padre, un ricercatore scomparso ormai da mesi nelle foreste che si stendono a sud della zona che si prolunga tra i monti Rajmahal e il Gange.

Il mercante cinese Tigre Blu è l’ultima persona ad aver avuto contatti con il padre ed è a lui che la fanciulla si è rivolta per avere un aiuto. Ma il mercante non ha potuto e non ha voluto aiutarla, ha già da fare con lo sposalizio della nipote, oltre ad altri problemi molto più gravi. La ragazza non ha neppure trovato qualcuno disposto ad accompagnarla in quelle zone dove si dice vivano i fantasmi bianchi, qualcuno che domini la propria paura.

Ma forse questo qualcuno esiste. Qualcuno ostile agli inglesi ma che avrebbe aiutato una donna in difficoltà senza badare al colore della sua pelle.

Tremando, la giovane Kim entra nella taverna cinese passando sotto delle lanterne di carta che mandano una luce gialla. Strilli e risate sguaiate riempiono l’aria già appestata dal fumo e dai vapori dell’alcool. Gli avventori, quasi tutti marinai inglesi, si fermano un attimo a contemplare le forme prosperose della bianca. Uno dei marinai, un bestione con una pipa in bocca, reso più audace dalla sbronza, gli si avvicina.

-        Guarda, guarda! Ma che ci fa qui questo bel passerotto?

-        La prego, mi lasci in pace! Devo incontrare una persona!

Il marinaio le afferra con forza le braccia facendole male.

-        Attenta! Non si risponde così al “rosso”!

-        Mi fa male, mi lasci per favore! – A questo punto Kim aveva già le lacrime agli occhi.

Gli urli dei compagni del marinaio si alzano di tono incitandolo a domare la ragazza. Kim sta quasi per svenire dalla paura quando un kriss, fischiando sinistramente, si pianta d’improvviso sulla colonna in legno al loro fianco, proprio davanti al muso dello sbalordito marinaio.

In un angolo buio della taverna, una figura dalla stazza nerboruta, seduta dietro a un tavolo, i cui occhi scintillano come quelli di un gatto, esclama:

-        Quella fanciulla ti ha chiesto di lasciarla andare, marinaio!

-        Cosa vuoi tu? Fatti gli affari tuoi!

-        Vedi marinaio, io me li sto facendo! È me, che quella ragazza deve incontrare!

La figura in ombra si alza in piedi rivelando la sua alta statura, le sue larghe spalle. Con un grugnito il marinaio lascia Kim, che si appoggia alla colonna di legno.

-        Non sarà certo un muso nero come te a dirmi cosa devo fare!

Detto questo, si scaglia contro il suo avversario, ma un calcio ben portato all’altezza della mascella lo manda a gambe all’aria. I suoi compagni non credono ai loro occhi. È  la prima volta che qualcuno abbatte il “rosso”. Ma il colpo è stato dato in piena luce e uno dei marinai da poco scampato dalle grinfie dei pirati della Malesia, sgrana gli occhi e urla una bestemmia…

-        Goddam! All’erta compari… è Sandokan!

Seppure molti marinai non abbiano mai navigato fino al Borneo, ognuno di loro sa benissimo chi è la Tigre della Malesia e, più che altro a causa della paura, si gettano tutti vigliaccamente contro di lui. Sandokan non si perde d’animo, afferra il pesante tavolo dove era seduto, lo solleva sopra la sua testa e lo scaglia contro di loro.

Senza far ricorso alle armi che tiene nella sua cintura, il formidabile pirata, con un uso sapiente di mani e piedi, atterra ben tre avversari in pochi secondi. A questo punto, i marinai ancora in piedi si fermano a studiare il loro nemico, ma Sandokan non gli lascia il tempo di riflettere, si slancia verso Kim, la prende in braccio e si butta dalla finestra nel molo sottostante. Mentre Kim, a occhi chiusi, tiene le braccia letteralmente serrate al collo del pirata, questi atterra usando le sue gambe come molle potenti per attutire l’urto. Infine, come una scheggia impazzita, si allontana correndo nel buio.

* * *

L’elefante è guidato da un vecchio cornac che non aveva più nulla da perdere e che, con i soldi intascati in anticipo, aveva potuto comprare una baracca al figlio sposato con prole. Quest’uomo è l’unico componente della spedizione organizzata da Sandokan al cui fianco è la fanciulla inglese. Nonostante non l’avesse voluta con sé, la Tigre ha dovuto cedere alle sue richieste. I suoi occhi azzurri come il suo amato mare malese, non ammettevano repliche.

Una fanciulla è l’unica cosa che riesca a fermare momentaneamente la sua cieca follia.

Kim, per parte sua, è curiosa di sapere qualcosa di più su quel giovane gorilla dallo sguardo strano, così cerca di farlo parlare. Nei primi giorni ha solo potuto apprendere che Tigre blu era stato un buon amico del padre di Sandokan, ma la Tigre si è ben guardata dall’informarla che in realtà il mercante forniva armi e munizioni alle Tigri di Mompracem. Tuttavia, dopo alcuni giorni di viaggio, Kim riesce a fare breccia nella corazza del pirata malese e davanti al fuoco di un bivacco…

-        Io, mademoiselle, ebbi anche un insegnante europeo, un francese che mi insegnò la sua lingua e l’inglese. Ricordo che mi espose le poesie di un europeo… sì, di Dante, ecco il suo nome e che mi faceva sognare, narrandomi le avventure di un cavaliere di Re Carlo che in groppa ad un animale mostruoso arrivò fino sulla luna…

-        Ma voi parlate dei poemi dell’Ariosto…

-        L’Ariosto? Sì… mi sembra, ma non voglio ricordare il mio passato. Non esiste più, spazzato via dai vostri compatrioti! – pronuncia il pirata con odio.

-        Sandokan, io… io devo ammettere di non capirvi. Se odiate la mia gente e con ragione, allora perché mi aiutate?

-        Mia madre mi insegnò molte cose, ma una di esse è fondamentale e cioè di non fare mai del male ad una donna, di qualunque colore sia la sua pelle. Una donna è fondamentalmente una madre: che lo sia stata, che lo sia o che lo debba divenire, non ha importanza! A quel tempo, io gli obbiettai che i figli di questa madre potevano un giorno diventare miei nemici, che potevano far del male a me o a chi amavo, ma lei con un candore meraviglioso mi rispose che non si poteva cambiare ciò che è scritto nel libro del Destino.

Sandokan si ferma un attimo e fissa Kim negli occhi.

-        Oggi probabilmente non sarei qui accanto a voi, se non avessi ubbidito ciecamente alle sue parole!

-        Che volete dire, Sandokan?

-        Quando quel miserabile avanzo delle galere del vostro paese riuscì, insieme ai Dayaki, a conquistare il palazzo della mia famiglia, iniziò una furiosa caccia all’uomo. Doveva trovarmi! Sapeva che avrei fatto di tutto per ucciderlo, ma io non restavo mai nello stesso luogo. Usando gli alberi, mi spostavo continuamente. Poi, un giorno mi avvicinai alla mia città dove dei funzionari erano arrivati per prendere visione dell’ormai avvenuta sottomissione del regno di mio padre. Era il momento giusto, quel giorno avrei ucciso quell’uomo e con lui perfino il mio futuro nemico, Brooke! Mi sarei fatto uccidere io stesso per la mia vendetta, ma non potevo aspettarmi di trovare davanti a me, che ero nascosto nel fogliame, due bambine! Dovevano essere due sorelle: mi fermai a contemplarle e mi vennero in mente le parole di mia madre. Stringevo il Kriss nella mano tanto forte, che la mano iniziò a sanguinare, volevo la mia vendetta, ma quella visione mi faceva male al cuore. Vedevo l’amore che la più grande aveva per la più piccola e questo mi bloccava, la sentivo chiamare per nome, un nome piccolo, semplice, credo fosse qualcosa come “Ada”. Infine arrivò una donna, e a quel punto fuggii via, veloce, nel buio della foresta.

-        Fu allora che diventaste un pirata?

-        No! Non subito. Vissi delle settimane intere nella foresta, cibandomi di ciò che essa mi dava. Tre volte fui quasi per cadere nelle mani di coloro che ferocemente m’inseguivano, come se io, invece d’un principe, fossi una belva feroce, poi la caccia cessò. Probabilmente,  credevano che io fossi morto di stenti in fondo alle foreste, ma s’ingannavano. I miei abiti erano ridotti a brandelli, i miei capelli erano lunghi e sporchi, una barba vistosa ornava il mio viso e non desideravo più rivedere alcun essere umano. Ma un giorno udii un grido nella foresta. Un grido di fanciulla. Non so cosa mi successe, sentii dentro di me il mio cuore spezzarsi. Credo… credo che il ricordo delle grida delle mie due sorelle massacrate dai dayaki mi riscosse. Come un animale impazzito volai tra i rami degli alberi, finché arrivai sul bordo di un sentiero. Un vecchio ed una fanciulla stavano per essere assaliti da una Kala-Bag, una tigre mangiatrice di uomini. Non pensai a niente, volevo solo far cessare quelle grida nella mia mente. Mi slanciai davanti alla tigre per proteggere quelle persone, snudai il Kriss e mi gettai sulla fiera, l’afferrai per il collo e la sollevai da terra. Non sentivo i suoi urli, non sentivo i suoi artigli sulla mia carne, volevo solo che le mie sorelle non gridassero più.

-        Mio Dio! - esclama Kim mettendosi le mani sul viso.

-        Dio, Buddha, non so quale divinità mi abbia aiutato. Allora come oggi, vedo solo rosso davanti a me. Mi risvegliai in una misera capanna in un ancor più misero villaggio di pescatori. La fanciulla e suo padre mi avevano curato e ripulito. Intorno a me vi erano gli anziani del villaggio che mi riverivano. Avevano capito che ero l’unico sopravissuto della famiglia reale e mi avevano nascosto agli sbirri degli inglesi. Ma quel villaggio era in pericolo. Dei pirati stavano sbarcando per rapire le fanciulle. Non ebbi bisogno di saper altro. Quella gente si era presa cura di me e mi aveva protetto dai miei nemici, così affrontai i pirati. Il primo che mi capitò dinanzi stava per afferrare una fanciulla, ma io afferrai prima i suoi capelli e con forza sfondai il suo cranio sul tronco di un albero. Due altri pirati che dovevano essere i suoi amici più fidati si buttarono su di me. Gli feci mordere la polvere del terreno ad ambedue. Infine, sfidai il loro capo. Gridai che se non era un vigliacco, doveva affrontarmi. Dopo un po’ si fece avanti un uomo con una vistosa cicatrice sul volto. Era guardingo e mi chiese cosa volessi. Gli risposi che volevo solo la sua morte e gli saltai addosso. Un attimo dopo il mio Kriss era piantato sulla sua gola. Mentre mi rialzavo dal cadavere del loro capo, i pirati incominciarono a chiamarmi Tigre. Si inginocchiarono a terra per la paura e divenni il loro capo. Ci imbarcammo senza far del male alla gente del villaggio e facemmo rotta per Mompracem. Questa è in breve la mia storia e finora non l’avevo mai raccontata ad anima viva.

La ragazza inglese non dice niente, si accorge solo ora che le sue mani tremano dall’emozione. Gli occhi del pirata sono fissi sulle fiamme e fanno paura. Kim si scuote e appoggia le mani sulla spalla di Sandokan, per poi abbracciarlo alla vita, così da fargli sentire il suo calore mentre il fuoco continua a scoppiettare.

 

 

 

 

 

Cap. 3

La strada della Morte.

 

 

Il villaggio non è enorme e senza troppo sudiciume in giro. Sandokan è stato accolto nella casa del capo insieme a Kim. Il giovane pirata lo ha informato della sua ricerca mentre sgranocchia della frutta secca offerta dalla moglie del capo.

-        Sì, nobile Sahib! Ricordo il vecchio straniero. Un uomo saggio che sapeva leggere le antiche scritture della nostra terra.

-        È lui! È mio padre!

-        Calmati, Kim! Ora quest’uomo ci dirà che strada ha preso.

-        Che la Triade lo protegga. Anche se ormai a quest’ora…

-        Che volete dire? – domanda impaurita Kim.

-        Alla fine del villaggio c’è una strada antica che si inoltra nella giungla. Noi diciamo che è “la strada della Morte”! A volte alcune persone, soprattutto anziani, vengono viste prendere quella strada, senza più fare ritorno.

-        Non sapete dove porta?

-        No, nobile Sahib! All’inizio c’è una pietra scolpita con parole antiche, che i nostri anziani dicono sia una maledizione. L’uomo saggio quando la vide scoppiò letteralmente dalla gioia. Diceva che era arrivato allo scopo ultimo del suo viaggio. Il giorno dopo si inoltrò sulla strada e da allora non ha fatto più ritorno.

Sandokan guarda la ragazza negli occhi e capisce subito che niente l’avrebbe trattenuta al villaggio, allora si volge verso il capo e gli domanda dove sia questa strada.

Percorrere la strada non è stato facile, anche se era ancora delineata. Giunta la sera, la piccola spedizione si è accampata. Il vecchio cornac, avendo capito benissimo il legame stabilitosi tra i due giovani, ormai da molte sere li lasciava da soli vicino al fuoco e andava a riposare vicino all’elefante.

-        Sandokan, questo posto mi fa paura!

-        Hai ragione ad aver paura. Questi sono alberi antichi di secoli, lo capisco senza essere uno studioso. E qualcosa molto, molto tempo fa, deve essere accaduto. Alla loro base sono tutti deformati in maniera orribile, come piegati da un dolore indicibile.

La ragazza si abbraccia ancor più forte al giovane malese.

-        Il vecchio cornac mi ha raccontato delle leggende che circolano al villaggio. Là dicono che gli animali sono maledetti da sempre, le galline covano uova nere e i vitelli nascono con due teste.

-        Ti prego Sandokan, smettila, ho paura!

Il polso della ragazza inglese incomincia a tremare, ma non è per il freddo della notte. Lentamente, si adagia con la schiena sulla nuda terra e guarda il giovane malese negli occhi; questi non riesce a resistere alla muta preghiera che legge in quello sguardo e si abbassa lentamente verso quelle labbra meravigliose.

* * *

Nel cuore della notte, Sandokan si sveglia d’improvviso. Avverte nettamente una sensazione di pericolo e Kim non dorme più al suo fianco. Si alza di soprassalto. Nemmeno il cornac è più vicino all’elefante. I suoi occhi, abituati a vedere al buio come quelli di un felino, scorgono un movimento sulla strada, in lontananza. Verso la città. È sicuro che sia una figura femminile.

Con un balzo tremendo, degno di una tigre, si aggrappa ad un ramo per poi arrampicarsi e subito dopo inizia un volteggio veloce da un albero all’altro. Chi scorgerebbe quella figura nel buio, la scambierebbe sicuramente per un gorilla.

In pochi minuti arriva all’altezza della figura. Come aveva immaginato, si tratta di Kim. Scende silenziosamente a terra, dietro ad un cespuglio, ma si trattiene dal chiamarla. Ha notato i suoi splendidi occhi sbarrati: Kim è succube di qualcosa che la fa agire contro la sua volontà e Sandokan non può far altro che seguirla di nascosto, anche se non si spiega l’assenza del cornac.

Ormai la misteriosa città è all’orizzonte e Kim vi entra dopo una buona ora di cammino. Il giovane pirata segue ora la sua via dall’alto dei tetti della città, stando molto attento a non cadere da quelle case fatiscenti.

Improvviso, un urlo di terrore si alza nella notte, seguito dalla risata lacerante tipica di un pazzo. Viene dal centro della città. A Sandokan si gela il sangue nelle vene, ma Kim è ancora sotto di lui. Allora di chi è quell’urlo? Dentro di sé, conosce già la risposta. A quale pericolo vanno dunque incontro?

Finalmente, Kim arriva nella piazza centrale illuminata da un fuoco, circondata su entrambi i lati da un colonnato che termina in prossimità di un tempio, cui si accede con una scalinata.

Kim si ferma, è ritornata di nuovo in sé, non più schiava della strana magia di cui era stata preda. Il giovane malese la sente prima mormorare il suo nome, e poi urlare dal terrore per la scena che ha davanti.

Dietro al fuoco due pantere stanno sbranando il povero cornac, mentre una terza dalla scalinata assiste all’orrendo pasto. La situazione sembra ancora più sconvolgente perché, al fianco della terza pantera, seduto sulle scale, un vecchio bianco ride senza sosta.

Kim, letteralmente sconvolta dal terrore, si getta verso l’uomo bianco.

-        Papà, Papà! Aiutami, ti prego aiutami!

L’urlo isterico della giovane fa ribollire il sangue ardente della giovane Tigre della Malesia. Una risata diabolica risponde a Kim. È la pantera al fianco di suo padre che ride.

-        È inutile, non ti può certo rispondere. È solo un povero pazzo ormai. Non lo abbiamo ancora ucciso perché è un tipo molto simpatico.

-        In nome di Dio, papà, rispondimi ti prego. Cos’è questa follia. PAPA’!

-        Calmati, non è ancora la tua ora. Prima di divorarti qui, di fronte a tuo padre, riprenderò la mia forma umana. Sei molto bella, sai?

-        Dio mio.

-        Non chiamare il tuo dio. La sua potenza è nulla di fronte al demone che noi serviamo! Piuttosto, non vedo il tuo giovane amico. Deve avere una volontà più forte di quel che pensavo e…

La pantera si ferma un attimo, ha fiutato qualcosa.

-        Eppure lo sento. È qui vicino!

Kim non resiste più, con il viso in lacrime spalanca la sua bocca e urla letteralmente…

-        Sandokan, aiutamiii!!!

-        Come si chiama? Sandokan? – la pantera si alza sulle zampe robuste e così fanno le altre due – non è possibile! Avevo mandato mia figlia ad ucciderlo!

Una voce si alza nella notte, e la sua eco si dilata nella piazza:

-        Infatti! Ma non tornerà mai più! – dall’ombra del colonnato la statuaria figura di Sandokan esce dalle tenebre. – Brooke ha speso male i suoi soldi, io stesso gli ho spezzato il collo poche settimane fa!

L’affilato tarwar del giovane pirata luccica alla luce del fuoco.

-        Maledetto! Scagliatevi su di lui, figli miei!

All’ordine del genitore, i due felini si slanciano verso il giovane malese. Sandokan li aspetta immobile, per poi spostarsi all’ultimo attimo utile alla sua sinistra. Le due pantere si scontrano tra loro, cadendo a terra. Con una furia terribile, dettata anche da un gelido terrore, Sandokan cala il suo tarwar sopra il capo di uno dei due felini, troncandolo di netto. La seconda pantera non crede ai suoi occhi.

-        Dannato verme! Hai ucciso le mie due sorelle! T’ammazzoo!

Con gli occhi iniettati di sangue, la pantera si getta contro Sandokan, che volteggia con forza la sua arma tagliando così la zampa anteriore del felino, che cade a terra urlando il suo dolore, ma in un attimo il malese gli tronca la testa. Ansimando fortemente, Sandokan si gira con il tarwar insanguinato verso la scalinata.

-        Ora vedremo chi di noi due scorgerà l’alba di domani, uomo-pantera!

-        Sarò io! – esclama con voce terribile la pantera mannara – il mio demone protettore non permetterà oltre lo scempio dei suoi fedeli!

-        Allora provamelo!

La pantera spicca un balzo terribile verso la Tigre della Malesia, ma lo stesso Sandokan gli balza incontro e con il tarwar gli apre letteralmente in due la pancia.

La pantera rotola a terra, mentre il suo sangue bagna gli antichi, malmessi mattoni della piazza.

Kim si slancia su Sandokan, anch’egli caduto a terra. Davanti ai loro occhi la pantera riprende forma umana.

-        Maledetti, siate maledetti! Il mio signore vi farà pagar cara la nostra morte!

-        Dici che è un demone potente, eppure non è riuscito ad aiutarvi contro di me.

L’uomo-pantera cerca di parlare ancora, ma ormai il sangue bagna anche la sua bocca e con un ultimo gemito muore. I due giovani non riescono nemmeno a parlare, stretti fra loro. Solo la risata del padre di Kim li scoglie infine dal loro abbraccio.

-        Kim, prendiamo tuo padre e andiamocene di qui!

-        Sì, sì! Subito!

La ragazza sale le poche scale che la separano dal padre e con dolci parole lo esorta a partire con loro. Ma, incredibilmente, a questo punto il vecchio ricercatore si mette a piangere.

-        E le mie ricerche? Voglio le mie ricerche, i miei appunti!

-        Saccaroa! Vecchio, dobbiamo andarcene! Non mi fido a restar qui. Potrebbero esserci altri pericoli!

-        Le mie ricerche, voglio le mie ricerche!

Kim guarda con occhi imploranti il giovane pirata.

-        Sandokan, ti prego, accontentiamolo.

-        E va bene! – esclama con furia il malese. Non riesce a dir di no a quegli occhi meravigliosi.

Fattosi indicare dove il vecchio teneva le sue cose, Sandokan afferra con rabbia un grosso tizzone dal fuoco da usar come torcia e si dirige verso un edificio, ormai non più che un rudere. A questo punto, si accorge però di una cosa, cui nel furore della lotta di poco prima, non aveva prestato attenzione.

Le pareti, infatti, sembrano simili a spesse lastre di ghiaccio, che di giorno dovrebbero brillare al sole. Di più, nel pavimento del cortile interno di quelle rovine, anch’esso semi-vetrificato, erano state impresse, come da una forza sconosciuta, delle forme umane.

Il sangue si gela nelle vene del coraggioso malese e Sandokan riflette sul fatto che i ruderi della città sembrino carbonizzati, non da un normale incendio, da qualcosa di più spaventoso. Alcuni massi giganteschi gli appaiono fusi e scavati in vari punti.

È la sua impressione, oppure gli sembra di udire delle urla spaventose di gente riunita in quel luogo che d’improvviso tacciono in maniera terrificante?

«No, no! Basta!» - esclama fra sé, e si dirige verso un fabbricato sormontato da una bassa cupola, dove intravedeva al buio delle sacche e dei libri.

-        Prendiamo questa cartaccia e poi via!

Ad un tratto, a causa del suo peso, ben superiore a quello del vecchio europeo, il suolo gli cede sotto ai piedi. Sandokan riesce ad afferrarsi ad una parte più resistente del pavimento e, dondolando, vede che sotto di sé vi è un locale lungo e stretto.

Il pirata ha paura, ma ormai la sua curiosità deve essere soddisfatta. Ha visto qualcosa in fondo e si lascia cadere a terra. Lentamente si avvicina ad un tavolo e ad una sedia dalla forma strana, sopra la quale si trova una statua di vetro dall’aspetto bizzarro. A quella vista, l’animo di Sandokan si riempie d’orrore, perché sotto il vetro che riveste quella statua, ora scorge chiaramente uno scheletro umano! 

I racconti di una vecchia serva indiana che lavorava nel palazzo di suo padre, e che gli narrava passi del mahabhárata, in cui gli antichi dei dell’India combattevano fra di loro con armi misteriose, riaffiorano alla sua mente e si combinano con la scena che ha davanti.

Un urlo spaventoso si diffonde nella sala buia e Sandokan si accorge che è stato lui stesso ad urlare.

Via! Via da quei luoghi, via da quei fantasmi bianchi. Il giovane pirata ha già i suoi fantasmi che lo perseguitano. Con un balzo degno di una tigre, si ritrova aggrappato al pavimento da cui era entrato nella sala sotterranea. In un attimo con una furia pazzesca è già nella piazza dove lo attende, folle di terrore, Kim, e con lei il padre.

* * *

È sera ormai.

Nel porto di Calcutta una nave è pronta per salpare verso l’Europa. Vicino alla sua passerella sono fermi Kim, con il padre a fianco a sé, e davanti a lei c’è Sandokan. La fanciulla ha le lacrime agli occhi. Tra le mani stringe una grossa borsa piena di pietre preziose, è l’ultimo dono del formidabile malese. Lei non vorrebbe abbandonare il giovane pirata, ma deve riportare suo padre a casa.

    -  Sandokan, non voglio andarmene, voglio restare con te!

   - Questo non è il tuo mondo. Lo sappiamo benissimo tutte e due, – gli rispose il malese accarezzandogli il viso.

Sentire il calore di quella pelle liscia lo fa star male.

-        Sandokan, io ho paura per te! Intravedo delle giubbe rosse nascoste dietro i caseggiati.

-        Calmati Kim, le avevo già viste e non mi preoccupo di certo!

-        Ma io sì! Sei temerario fino alla follia e in più – Kim abbassa gli occhi – se… se dal nostro amore…

-        Kim, – Sandokan prende il suo viso fra le mani per guardarla fissa negli occhi, – se ciò avvenisse, fa in modo che non si vergogni mai di me!

Kim si getta su di lui e, così uniti, sentono appena il richiamo dalla nave. Dieci minuti dopo, Sandokan vede il faro della nave diventare sempre più piccolo nella notte. Alle sue spalle i soldati, in pochi attimi, lo hanno circondato.

-        Sandokan, non muoverti! Ti arrestiamo in nome di sua Maestà Britannica!

-        Credete di farmi paura? – esclama il pirata senza nemmeno voltarsi. – Come potete essere così ingenui?

Lentamente si gira verso di loro.

-        Ho affrontato molte volte le vostre giubbe rosse e vi assicuro che in confronto a quello che ho passato in questi giorni, il vostro è un fuoco di paglia!

-        Basta così! Dovete rispondere anche del sequestro di una fanciulla inglese… - il giovane ufficiale non riesce nemmeno a finire la sua frase.

Una montagna di cento chili di ossa e muscoli si scaglia su di lui, lo disarma in un attimo, lo carica sulle sue spalle e fugge via nel buio che precede l’alba. Inutilmente i soldati sparano contro Sandokan.

In un vicolo maleodorante il giovane ufficiale è in ginocchio, sudando vistosamente. Ha il viso del pirata malese davanti agli occhi, Sandokan lo tiene fermamente inchiodato a terra. È più che certo che non rivedrà più il suo Galles.

-        Tu! È per quelli come te, che non posso amare Kim. Perché mi considerate un essere inferiore a causa della mia pelle dorata! Dici che l’ho sequestrata, ma in realtà fu lei a chiedermi aiuto, un aiuto che nessuno di voi bianchi le ha dato! Dei marinai volevano divertirsi con lei, ed erano bianchi come te!

-        Io… io non lo sapevo… io…

-        Basta! Ascoltami bene! Avverti i tuoi superiori che ho occhi e orecchie che possono arrivare perfino alla tua fredda isola dall’altra parte del mondo. Se venissi a sapere che a Kim è stato fatto del male, scoverò i colpevoli dovunque si nascondessero. Dillo anche a Brooke!

Poi il giovane ufficiale si sente scagliare verso un cumulo di rifiuti. Tremando di paura, gira lo sguardo dove dovrebbe trovarsi il pirata ma, con suo enorme sollievo, è ormai solo.

 

 

 

Seconda Parte.

 

La Pagoda maledetta

 

Cap. 4

Il misterioso portoghese.

 

Nel retrobottega del grande negozio di Tigre Blu, un giovane europeo con una vistosa cicatrice in fronte, fuma una sigaretta dopo l’altra. Ha i piedi appoggiati sopra il tavolo del cinese e sta letteralmente affossato nella comoda sedia, non per posa, ma per una sua banale comodità.

-        Tigre Blu, tu lo sai, mi piacerebbe entrare nelle bande dei pirati della Malesia. Da quando sono arrivato in India, ho inteso parlare del loro capo più come patriota che come un semplice pirata.

-        Sandokan non fa una semplice pirateria. Egli combatte una vera e propria guerra contro gli inglesi che lo hanno spodestato.

-        Ammiro gente così! Gente che ha un ideale per cui vivere. Io non ho più niente e mi sono imbarcato per l’Oriente senza uno scopo preciso, condotto solo da una vana illusione di facile ricchezza che non esiste.

-        Degli ideali di cavalleria li hai, sennò non avresti salvato mia nipote dalle grinfie degli sgherri del governatore inglese.

-        Io ho visto solo una giovane donna vestita da sposa strappata via dal ragazzo che stava per sposare. Poi… poi non ricordo più niente! Dici che ho ucciso una delle guardie e ferito le altre?

-        È così, Yanez! Una delle due guardie ti ha ferito al capo, prima di essere sopraffatta da me. In questo assomigli a Sandokan. Lui non bada al colore della gente, se questa ha bisogno di aiuto! - poi Tigre Blu cambia argomento - Senti Yanez, tu hai mai sentito parlare di Marco Polo?

-        Se ne ho sentito parlare? Scherzi, è come chiedermi se so chi è il Papa. Cosa c’entra adesso Marco Polo?

-        Forse ti stupiresti se ti dicessi che Marco Polo in Cina è poco conosciuto!

-        In effetti, mi sembra alquanto strano. In Europa è un vero mito.

-        Devi sapere che molti secoli fa, quando Marco Polo partì dalla Cina, alla morte dell’imperatore da cui era protetto, si scagliò su di lui una damnatio memorie. Ogni documento, ogni iscrizione ufficiale su di lui, fu cancellata.

-        Se è così, tu come fai a conoscerlo?

-        Perché il suo fido aiutante, un ragazzo mongolo con cui aveva vissuto tante avventure, era un mio onorevole antenato di cui io porto lo stesso nome. E forse c’è una via per farsi accettare tra le tigri di Mompracem, ma è una via terribilmente pericolosa.

Yanez scatta come una molla e si piazza sul tavolo di fronte al mercante cinese.

-        Mi stai incuriosendo, va’ avanti!

-        Come sai, poche settimane fa una spedizione capitanata da due bianchi è andata in Cina per depredare la scimitarra di Khien-Lung.

-        Si. Conosco la storia di Robiano, me ne ha parlato Tchao King, e allora?

-        Nessuno sa che nella stessa zona della pagoda che custodiva la scimitarra, vi è un’altra pagoda, oggi completamente in rovina. Qui Marco Polo e Tigre Blu dovettero portare una scimitarra d’oro incastonata di pietre preziose quale tributo affinché un demone non tormentasse più quella regione.

-        Un demone? Uno di quei demoni di cui è piena la mitologia cinese?

Sì! Per noi cinesi ci sono spiriti benefici e spiriti malefici; il pericolo è nascosto sotto forma di demoni-animali, demoni-uccelli, demoni-pesci, e dragoni sotterranei, che se vengono disturbati, scatenano orrendi disastri. Prima di Buddha e Confucio, gli spiriti venivano placati con sacrifici, ma essendo, il mio, un popolo molto pratico, le offerte sono diventate simboliche: immagini di carta o doni di alimenti, mangiati poi dagli stessi donatori.

-        E questo demone di che razza è?

-        Un demone-animale in forma di pantera. I suoi seguaci acquisivano il dono di tramutarsi da uomini in pantere.

-        Nel mio paese c’è una creatura identica, solo che l’animale è un lupo!

-        Marco Polo e Tigre Blu subirono molti assalti da queste creature prima di poter fare l’offerta. Fu la loro più spaventosa missione per il Khan.

-        E questi seguaci ancora esistono?

-        Si dice che siano scomparsi da anni, ma io ci credo poco! Si mormorano strane storie la notte…

-        Come mai mi hai narrato questa storia?

-        Temo che il governatore Steve Dickart sappia della scimitarra e la voglia per sé. Ho dei timori sulla sua persona, dicono che la madre sia una indiana nonostante i lunghi capelli biondi. Una volta vidi un’illustrazione europea di un diavolo. E Dickart gli assomiglia in pieno, con quei baffi e pizzetto biondi, e i suoi occhi mi hanno sempre spaventato.

-        Però, proprio un bel tipo! Quindi l’aggressione a cui ho assistito, serviva a questo. È una gran brutta storia! – Yanez sospirò, poi riprese il discorso – e ora cosa vuoi fare?

-        L’unica cosa possibile. Recuperare la scimitarra per distruggerla!

-        Mi sembra una pazzia, ma se non c’è altra soluzione…

-        Sei disposto ad affrontare questa pericolosa avventura?

-        Tigre Blu, c’è una cosa che mi devi dire. Come fai a fidarti di me? Di un bianco?

-        Sai, - disse Tigre Blu con un sorriso malizioso - bisogna stare attenti a quale compagna si sceglie per il proprio riposo, perché anche i bianchi parlano nel sonno e raccontano cose che ad altri non direbbero.

-        È così dunque, - commenta a sua volta Yanez grattandosi la testa. - Speriamo di non aver detto troppe idiozie. D’accordo Tigre Blu, fa ciò che ritieni giusto! 

 

Cap. 5

La lettera.

 

Sono giorni ormai che Tigre Blu vive nel terrore. Chiuso nel suo studio sta scrivendo una lunga lettera. Dentro di sé sa di avere poco da vivere, ma vuole informare Sandokan di ciò che ha scoperto, grazie ai suoi informatori, sulla vera natura del governatore. Per quel motivo vuole che la scimitarra sia fusa, una volta recuperata. Yanez, Robiano e Tchao sono già partiti, ma il giovane pirata può raggiungerli in tempo.

Uno scricchiolio lo fa sobbalzare. E il terrore si impadronisce di lui. Davanti a lui c’è il malefico Dickart, avvolto in un lungo mantello nero.

    - Dov’è la scimitarra, topastro giallo?

    -  C-come sei entrato? - esclama Tigre Blu.

-        Il mondo delle tenebre non ha segreti per me. Quando cala il sole il mio potere è immenso e lo sarà di più quando avrò in mano la scimitarra d’oro. Avanti, PARLA!

-        NO! - urla Tigre Blu. - Non metterai mai le tue mani sull’arma diabolica!

In gioventù il mercante cinese aveva affrontato pirati malesi, guerrieri maharatti e perfino i tagliatori di teste, i dayaki. Ma era riuscito sempre a dominare la sua paura. Qui, ora, il terrore si impadronisce di lui, perché sa che non ha più scampo.

-        E allora MUORI!

L’inglese estrae da una tasca una piccola bolla di cristallo, poi fissa i suoi occhi di fuoco su Tigre Blu. Il mercante cinese inizia ad urlare dal terrore. La sua mente è letteralmente sconvolta. Gli sembra di uscire materialmente dal suo corpo per ritrovarsi subito dopo all’interno della bolla di cristallo, avvolto in una bufera di neve.

Sopra di sé sente la diabolica risata di Dickart che inizia a stringere sempre più forte l’oggetto di cristallo fino a fracassarlo. La morte di Tigre Blu è istantanea. Il suo corpo si accascia sulla poltrona come una marionetta senza fili.

Al di fuori dello studio, l’inglese sente la voce di una giovane donna che chiama ripetutamente il mercante.

Dickart può dare solo una sbirciata alla lettera che Tigre Blu stava scrivendo, perchè la porta dello studio si scuote con un grande fracasso. Ad una seconda botta, si fracassa.

Sandokan piomba nella stanza. La sua spalla è dolorante, ma il suo viso è spaventoso. Sembra quello di una tigre ferita. Dietro di lui c’è la nipote di Tigre Blu che urla dal terrore per la scena che intravede oltre le spalle del giovane pirata.

-        Ottima entrata, davvero. Faresti furore a teatro. AH, AH, AH! Tu devi essere la famigerata Tigre della Malesia.

-        Cane maledetto, pagherai caro il tuo delitto!

Sandokan sta per scagliarsi contro la diabolica creatura, ma viene fermato dalla strana manovra di Dickart.

-        Non ti preoccupare Tigre della Malesia, ci rivedremo presto e sarai tu a pagare per ciò che hai fatto ai miei fedeli servi. AH, AH, AH!

Dickart si inginocchia sul pavimento e, sempre ridendo sinistramente, si copre del tutto col suo mantello.

Davanti agli occhi sbalorditi di Sandokan e della ragazza, il mantello si affloscia lentamente, fino ad appiattirsi sul pavimento.

Sandokan si avvicina al mantello e lo solleva con rabbia da terra. Al di sotto vi è solo il pavimento in legno. Nient’altro.     

 

Cap. 6

Nel cuore della Cina.

 

Yanez aveva legato subito con i suoi nuovi compagni, l’europeo Robiano e il cinese Tchao-King.

Con loro aveva affrontato molti pericoli, partendo da Canton e risalendo il fiume Si-Kiang, poi in una fattoria avevano acquistato tre cavalli, ma a causa delle tigri, li avevano persi.

Ora, seguendo le orme delle fiere, si trovavano nascosti nel fogliame, davanti ad una pozza d’acqua.

D’improvviso un rumore attutito arriva fino a loro.

-        Sentite anche voi questo rombo lontano? - chiede Tchao.

-        Sì, cosa può essere? – domanda a sua volta Yanez.

-        Si direbbe il galoppo sfrenato di un grosso branco di animali… - commenta Robiano, togliendosi il cappello e appoggiando l’orecchio a terra.

-        Le tigri mi sembrano inquiete e… il rombo si avvicina… signori, ripariamoci sugli alberi! - esclama Tchao.

I tre coraggiosi iniziamo a risalire l’alto albero davanti a loro.

-        Hai forse scoperto l’origine di quel rombo?

-        Debbono essere rinoceronti signor Yanez!

-        Diavolo! Speriamo che passino senza fermarsi.

-        O che caccino via le tigri.

Dalla boscaglia sbucano all’improvviso i rinoceronti, travolgendo tutto quello che incontrano. Inizia così una battaglia tra i felini ed i rinoceronti. Alcune fiere riescono a salire sulle groppe dei rinoceronti, ma la maggior parte di loro viene ferita a morte dai corni dei grossi animali.

-        Che battaglia! Non avevo mai veduto nulla di simile!  - commenta Tchao.

-        Vinceranno i rinoceronti. Hanno la pelle dura!

Infatti le ultime fiere superstiti prendono a gran velocità la strada della selva. Ma un unico rinoceronte era ancora in piedi.

-        Le tigri superstiti fuggono!

-        I rinoceronti hanno vinto, ma a quale prezzo!

-        Speriamo che l’ultimo sloggi, amici!

Ad un tratto, da un punto della boscaglia, parte un colpo di fucile e l’ultimo rinoceronte cade a terra fulminato.

-        Chi ha sparato?

-        Il colpo è partito di là – risponde Robiano, indicando un punto nella boscaglia. - Quale precisione!

Un superbo cavallo bianco sbuca dalla macchia, ma è solo.

-        Sarà meglio scendere amici, - esclama Yanez - ma stiamo con gli occhi aperti!

I tre avventurieri ridiscendono con molta cautela l’alto albero, guardando in tutte le direzioni.

-        Tutto sembra tranquillo! - dice Robiano.

-        Salve amici!

Sandokan è sbucato d’improvviso tra il fogliame dalla parte opposta dov’è il suo cavallo. Yanez punta la pistola su di lui e sta per far fuoco, ma il giovane malese estrae fulmineamente la sua pistola indiana dalla cintura e fa fuoco prima di lui. La pistola balza via dalla mano allo stupito Yanez senza procurargli ferite.

-        Scusate Yanez, ma state tranquillo. Non ho cercato di storpiavi la mano.

-        Ma chi siete, come fate a conoscermi? – domanda Yanez.

-        Ma… tu sei il principe Sandokan!

Tchao, dopo aver rivolto a Sandokan queste parole, si inginocchia ai suoi piedi.

-        Rialzati Tchao, lo sai che non amo questi ossequi!

 

 

 

 

 

Cap. 7

In rotta per la pagoda.

 

Sotto l’alto albero, i quattro avventurieri, stanno arrostendo della carne.

-        Quei bravi rinoceronti ci hanno fornito un’ottima cena.

-        A chi lo dici, io sono letteralmente affamato! Principe Sandokan come mai vi trovate qui? E soprattutto, come avete fatto a riconoscermi?

-        Per quando riguarda il fatto che vi ho riconosciuto… beh, c’è una certa fanciulla di nome Fior Di Loto che è stata molto prodiga nell’informarvi su di voi, anzi fin troppo!

Le guance di Yanez arrossiscono in un lampo, provocando le risa degli altri suoi compagni d’avventura.

-        Non è mica giusto che si rida così dei propri amici, ecco!

Le rise si fanno più alte, sembra davvero una partita di caccia tra vecchi amici.

-        Principe, mia moglie sta bene? - chiede Tchao.

-        Tchao King devi stare tranquillo, la tua dolce sposa sta bene.

-        A parte questo, Principe, quale motivo vi ha condotto sulle nostre tracce? - domanda Robiano.

-        L’assassinio di Tigre Blu!

Questa frase è una vera bomba che lascia raggelati i due bianchi e il cinese.

-        Ma Principe, voi mi avete detto che sua nipote stava bene…

-        Infatti, per lei non devi preoccuparti, devi credermi!

-        Non è possibile, non ci posso credere, - esclama Yanez - ma chi è stato?

-        Tigre Blu era una brava persona, che non ha mai truffato nessuno, chi poteva avere come nemico? - chiede Robiano.

-        Il governatore inglese! Tigre Blu mi aveva cercato, ma io ero ancora nel cuore dell’ India, per questo si è rivolto a voi Yanez, contattando poi voi Robiano. Sono arrivato solo per vedere la sua morte. Solo che il nostro buon amico mi ha informato comunque, attraverso una lettera che era sul suo tavolo. Signori, conosco lo scopo del vostro viaggio e perciò, se non avete nulla in contrario, mi unisco a voi.

-        Molto volentieri!

-        Siamo lietissimi di avervi con noi, Principe!

-        Con voi al nostro fianco, tutto andrà meglio, Principe Sandokan!

-        Grazie amici. Da questo momento potremo darci del tu! E, a proposito, Yanez, come mai non hai pensato di partire per il Sud America? Lì c’è un altro europeo, che combatte la schiavitù.

-        Immagino che parli di quell’italiano, di Garibaldi. Beh, a dire il vero ci avevo pensato, eccome! Però mi ha fermato un buon motivo. Non ho più un soldo in tasca!

Nonostante la tensione data dalla brutta notizia, le risate si levano alte intorno al fuoco.

All’indomani i quattro avventurieri si rimettono in viaggio verso la loro pericolosa missione. Hanno bisogno di cavalli e Tchao King sa dove trovarli.

 

 

 

Cap. 8

Dentro il cimitero sotterraneo.

 

 

Dopo molte ore di viaggio i quattro avventurieri arrivano ad un piccolo villaggio al limitare della boscaglia. Qui, trovato un mercante, acquistano nuovi abiti di foggia cinese e dei/quattro cavalli. ( be, tre. Sandokan il cavallo c’è l’ha!)

Il mattino seguente ripartono al galoppo. Oltrepassano il territorio della pagoda di Yuen-Kiang e si inoltrano verso nord.

Dietro di loro una nube di polvere si alza all’orizzonte.

-        Cosa sarà? – si chiede Yanez.

-        Sono cavalieri! - esclama Tchao - Probabilmente è l’esercito cinese che ci dà la caccia!

-        Non capisco. Come hanno fatto a sapere di noi?

-        Qualcuno deve aver riconosciuto me e Tchao al villaggio ed hanno informato l’esercito, - commenta Robiano.

-        Non dovete preoccuparvi, - li rassicura Sandokan, - appena vedranno la nostra meta, si fermeranno.

Infatti, dopo un ora di galoppo, si ritrovano sopra una cresta rocciosa, di fronte ad una pagoda in rovina. Dietro di loro, l’esercito cinese si è fermato. Robiano estrae un cannocchiale dalla sacca del suo cavallo e li osserva.

-        Si direbbe che stiano parlottando tra di loro. Sono spaventati.

-        Sanno benissimo cosa è custodito dentro quelle mura cadenti, Robiano. Da adesso in poi non ci daranno più fastidio, potete esserne certi! - dice Sandokan.

-        I miei compatrioti non sono stupidi. Le storie che circolano sono troppo veritiere per rischiare troppo.

-        Allora tu, Tchao, - chiede Yanez - perché hai accettato questa impresa?

-        In questi mesi Tigre Blu è stato un buon padrone, oltre che un buon amico. Non potevo rifiutarmi. Agli occhi di sua nipote sarei sembrato un vile.

-        Bene! Vorrà dire che Tigre Blu avrà dei buoni nipoti! Ma ora andiamo alla pagoda, - commenta Sandokan.

La pagoda è letteralmente avvolta nel verde. L’ingresso è crollato ed i quattro amici cercano un altro accesso, tuttavia l’unica via d’entrata è un’alta finestra.

Arrampicandosi sul fogliame Sandokan arriva a questa finestra e getta uno sguardo veloce all’interno, poi chiama i suoi compagni.

-        Vi getto la corda. Venite su!

-        Vedi niente?

-        Un gran mucchio di rovine e di fogliame!

Dopo pochi minuti, tutti e quattro sono all’interno delle rovine. Dal tetto sfondato entra la luce del giorno che disegna sinistre smorfie sulle poche statue ancora in piedi.

-        Che posto. Da mettere i brividi, - commenta Yanez

-        E non è finita! - dice Tchao - Dobbiamo ancora trovare la maledetta scimitarra.

-        Se è come per la scimitarra di Khieng-Lung, - dice Robiano, - dovremo scendere nel cimitero sotterraneo.

-        Infatti! Accendiamo delle torce e cerchiamo subito l’ingresso, - ordina Sandokan.

Non sembra facile trovare l’ingresso, ma una macabra sequenza di teschi umani ne indica infine la presenza, benché l’accesso sia un po’ ostruito da pietre e vegetali. In breve i quattro ripuliscono l’ingresso quel tanto che basta per entrare. Il respiro è pesante, il cimitero è situato a molti metri di profondità, i topi corrono ai loro piedi, inoltre i cadaveri di chi li ha preceduti e che sono finiti nelle trappole del tempio, li accompagnano sinistramente nella loro marcia.

-        Caspita! Siamo sicuri che queste trappole non funzionino più? – si chiede Yanez.

-        L’unica maniera per essere sicuri è avanzare piano, infatti… guardate là! - dice Sandokan.

Alla fine delle scale, il pavimento è sfondato su di un pozzo che sembra senza fondo. Ai lati delle pareti della cavità, delle lame ormai arrugginite si intravedono nell’oscurità.

Passando rasente al muro su un esiguo scalino di pietra, i quattro si ritrovano poi in un’enorme sala dal pavimento di marmo, circondati da statue di demoni i cui colori ancora risaltano alla luce delle torce.

-        Che posto infernale! - esclama Robiano.

-        Già, veramente impressionante, e tutti questi ratti non danno certo allegria! - dice Yanez.

-        Sbrighiamoci a cercare quel dannato arnese! Dove potrà mai essere? - domanda Tchao.

-        Credo che sia sotto la grande statua in fondo la sala, del resto si intravede un braciere al di sotto di essa, - risponde Sandokan - ed anche qualcos’altro.

-        Che bellezza, è un cadavere! Chissà, forse era l’ultimo sacerdote. Ma… guardate quella statua, ha la testa di un felino, ma il corpo è di una donna in una posizione oscena! - esclama Yanez.

-        Credo esista una statua simile nei sotterranei di una città europea, - dice Sandokan – anzi Robiano dovrebbe conoscere bene. Si chiama Roma.

-        Cosa! Nella Città Santa? Non può essere, rifiuto di credere a una cosa del genere, Sandokan!

-        Mi dispiace Robiano, ma io riferisco ciò che mi ha scritto Tigre Blu. E ora cerchiamo un’apertura nel piedistallo.

Yanez si fa avanti, verso il basamento della statua. Per far questo passa accanto allo scheletro del sacerdote. Un sibilo arriva alle sue orecchie. Se Sandokan non lo avesse spostato a viva forza, Yanez sarebbe stato morsicato da un velenoso cobra spuntato dalla mascella del cadavere!

Per il giovane pirata, estrarre il suo Kriss e tagliare la testa del serpente, è affare di due secondi.

-        Accidenti! Questo è proprio quel che si dice “avere una lingua da serpente”!

-        Ecco perché non ci sono topi nella sala. Ci saranno altri serpenti. Cerchiamo di snidarli con le nostre torce!

Fatta una sommaria ricerca e uccisi altri rettili, i quattro amici riescono, con non poche difficoltà, ad aprire il massiccio basamento dell’oscena statua. Davanti ai loro occhi c’è un cofano. Lo sfondano e vedono la Scimitarra posta secoli prima in quel luogo da Marco Polo e dal suo amico Tigre Blu.

-        È davvero tutta d’oro!

-        Si, ma questo ora a noi non ci interessa. Prendiamola e usciamo da qui, ho bisogno d’aria pura.

-        Tutti noi ne abbiamo bisogno.

Con la stessa accortezza dell’andata, i quattro tornano all’aperto. In lontananza, c’è ancora l’esercito imperiale. Sandokan però non vuole abbandonare quel luogo funesto. Facendosi aiutare dai suoi compagni, estrae dalle sacche dei cavalli molti candelotti di dinamite e li posiziona tutto intorno alla pagoda, collegandoli tra loro con una lunga miccia. Fatti allontanare i suoi amici, Sandokan dà fuoco alla miccia e li raggiunge.

Un boato enorme si ode tutto intorno, numerosi detriti cadono dall’alto. Della pagoda maledetta non c’è più traccia, solo una montagnola fumante indica ancora dove si trovava il sinistro edificio.

Sandokan si avvicina ai suoi compagni, poi gettando lo sguardo sull’esercito imperiale, solleva in alto la scimitarra dorata.

I soldati imperiali si allontanano ordinatamente.

Nessuno avrebbe più ostacolato il cammino di Sandokan e dei suoi tre amici.

 

 

 

Cap. 9

L’ultima lotta.

 

Dopo vari giorni di corsa attraverso la Birmania, essi giungono a Rangoon per trovare imbarco per Canton.

O perlomeno due di essi.

-        Addio Robiano. L’amico Tchao King ti compenserà al posto di Tigre Blu.

-        Già! - esclama Yanez - Adesso i problemi economici passano tutti sopra le tue spalle, amico mio.

-        Glieli farà dimenticare la sua dolce sposa, non è vero Tchao? - scherza Robiano.

-        Puoi esserne certo Robiano! Addio amici. Spero di rivedervi presto!

Salutando la nave in partenza, Sandokan si rivolge a Yanez.

-        Tchao è fortunato. A casa troverà sua moglie in dolce attesa.

-        Questa è proprio una bella notizia, non gli hai detto niente per non sciupargli la sorpresa, vero?

-        Se lo meritava! Ora però siamo rimasti in due, Yanez, e abbiamo ancora un compito importante da portare a termine.

-        Allora che aspettiamo. Andiamo Sandokan!

I due salgono a cavallo ed escono dal porto, ma già da dietro le colline il cielo inizia ad arrossire.

-        Sbrighiamoci, Yanez! Il sole sta tramontando e il potere del male aumenta con le tenebre.

-        Sproniamo i cavalli allora.

I due cavalieri passano come pazzi nella via principale di Rangoon. I pochi passanti che tornano a casa per la notte, li guardano dapprima con rabbia, poi con terrore. Dietro di loro una nube nera li segue da vicino.

Sandokan e Yanez, usciti dalla città, si inerpicano con i loro cavalli su di una collina, alla cui sommità vi è una fornace che fu consacrata, alla sua fondazione, con riti magici.

La scimitarra deve essere fusa per perdere i suoi malefici poteri.

Dopo la corsa pazzesca i cavalli hanno la schiuma alla bocca, il giovane pirata malese si getta a terra quasi con furia, mentre Yanez trattiene il suo destriero per le redini.

Un cinese aspetta sotto l’ombra della tettoia. Appena Sandokan si fa avanti si inchina cerimoniosamente davanti a lui. Poi prende tra le sue mani l’involucro di tessuto al cui interno è custodita la scimitarra.

Quasi con febbrile ansietà, scioglie i nodi e spoglia l’arma malefica.

-        Presto deve essere fusa prima il sole si nasconda dietro le colline! – comanda Sandokan, indicando la catena montuosa.

-        Non credo proprio! – Esclama invece l’uomo davanti a lui, scoppiando in una risata malefica - Ora ho il pieno potere nelle mie mani!

Steve Dickart è davanti al sorpreso Sandokan. Ma il pirata, se resta sbigottito per un attimo, già l’istante dopo ruggisce come una tigre ferita e parte per scagliarsi sul malefico bianco. In quell’istante, la nube nera che aveva seguito i due cavalieri dal porto di Rangoon lo avvolge per intero e Sandokan crolla a terra senza respiro.

Raramente Yanez ha mai avuto veramente paura, ma ora i suoi polsi tremano. Non crede ai suoi occhi. Così come lo stesso Sandokan, che si ritrova con una catena ancorata al collo. Una vera catena pesante spuntata dal nulla.

-        Lo senti miserabile verme giallo? Senti su di te tutta l’angoscia che può provare uno schiavo? Rispondi!

Il formidabile pirata non sente su di sé solo l’angoscia di uno schiavo, ma tutta l’umiliazione che una persona, o un povero animale, potrebbe sentire. E sente soprattutto la cosa peggiore: l’impotenza.

A quel punto, però, uno sparo risuona verso il malefico bianco. È Yanez che cerca di ucciderlo, ma la paura gli fa mancare la mira. Eppure, nonostante tutto, si trova a correre con un Kriss in mano verso Dickart, il quale, divertito, solleva una mano e scaglia qualcosa verso gli occhi di Yanez.

-        Per fermare la corsa del rinnegato bianco, basterà una semplice polvere che ho trovato in una vecchia tomba cinese, – commenta. - In quanto a te, verme giallo, ti trasformerò nella mia tigre domestica. Del resto non meriti altro.

Ma Yanez, nonostante la momentanea cecità, riesce ad avvicinarsi ad alcune alabarde poste poco al di fuori della tettoia e presa in mano una di queste, la scaglia verso la catena di Sandokan.

-        Se le armi forgiate in questo luogo sono davvero magiche, stregone, questa non la fermerai.

-        NOO! – urla Dickart.     

Prima che lo stregone possa reagire, la lancia manda in frantumi l’acciaio della catena come se fosse fatta di cristallo.

È solo un attimo. Ora negli occhi dello stregone vi è il terrore più assoluto. Sandokan lo ha afferrato per il collo e un sinistro scricchiolio di ossa rotte si diffonde nell’aria.

La scimitarra malefica cade dalle mani del defunto negromante bianco.

Sandokan la prende e barcollando, entra nella fornace e infine la getta nel calderone ardente della forgia.

Yanez, appoggiato allo stipite della porta, esclama:

-        Ora… ora è veramente finita.

-        Si, fratello, - risponde il pirata - andiamocene di qui.

Sul pavimento, gli inservienti giacevano morti, con gli occhi sbarrati.

-        È meglio, questo luogo mi mette i brividi, non c’è più nessuno vivo qui.

-        Quel cane deve aver ucciso tutti gli uomini con qualche misterioso rito. Forse quella nube nera…

-        Basta Sandokan, non importa. Ora voglio trovare una compagnia  allegra, vedere delle ragazze ridere, e non pensare più a tutto questo.

I due amici, reggendosi tra di loro, si avviano muti verso i loro destrieri.

 

 

FINE


Leggi il fumetto che ha ispirato questo racconto!



Marco Pugacioff


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