Questioni di critica salgariana




Rubo quasi pari pari il titolo a un saggio di Roberto Fioraso apparso nell'estate 2008 sulla rivista elettronica “Intervalles”: un interessante numero monografico intitolato Emilio Salgari, il mare, l'interdisciplinare, diretto da Luciano Curreri, che molti ricordano, fra l'altro, per una esemplare riproposta di Cartagine in fiamme (Roma, Quiritta, 2001), e da Fabrizio Foni, apprezzato studioso e saggista.

La sottrazione è voluta e dichiarata, perché è a quel saggio, intitolato appunto Questioni di critica, che faccio riferimento. Un po' per approfondire alcune questioni, un po' perché sono stato direttamente chiamato in causa. Non intendo, peraltro, ripercorrere e commentare, di quel saggio, le molte tematiche esposte: quasi tutte sono da sottoscrivere, come lo sono le considerazioni di Antonio Faeti e di altri dalle quali Fioraso prende le mosse. Già chi scrive, d'altronde, sin dal dicembre 2000, ha reso pubblico[1] il testo apparso nel 1904 su “Viaggi e Avventure di Terra e di Mare” e riferito a recensione di due romanzi a firma G. Landucci (pseudonimo di Salgari) editi da Belforte di Livorno, in cui si accusa Landucci ... di “plagio sfacciato” nei riguardi di Salgari! Testo che Fioraso ripropone in tema di pseudonimi salgariani.  Ma non è questo il punto.

Fioraso, in buona sostanza, auspica, ribadendo una convinzione che in passato ha espresso anche verbalmente in dibattiti, una esauriente analisi delle singole opere di Salgari con riguardo ai contenuti e alla forma, senza perdersi “nel biografismo e nello psicologismo più superficiale”. Non parrebbe interessato, ai fini della critica, ad aneddoti e curiosità sulla creazione di un'opera, per  esempio; non amerebbe, in generale, le varie considerazioni, tanto più se sperimentali e intuitive,  che esulino dalle forme e dai contenuti. Uso il condizionale per evitare di tranciare giudizi che potrebbero non essere precisi e soprattutto per non dare l'impressione di voler polemizzare, perché è l'ultimo dei miei pensieri. Ciò che interessa qui è chiederci e risponderci, ognuno con la propria esperienza, cosa si intenda per “critica”, cioè per “disamina, esame, valutazione”. Ovvero stabilire se la critica debba o non debba implicare anche considerazioni e nozioni “altre”. E passiamo oltre. Per quanto riguarda lo psicologismo più o meno superficiale penso peraltro che, in alcuni contesti, specie se concepiti non per gli addetti ai lavori ma per un pubblico vasto e, con il trascorrere dei lustri, sempre più distante da conoscenze specifiche sull'Autore, sia invece necessario accedere ad una divulgazione molto fruibile (pur facendo critica) senza scomodare gli scienziati: psicologi e psicanalisti, voglio dire. Un altro fatto va accennato: se si limitasse la critica ai contenuti e alle forme, si disconoscerebbe l'egregio lavoro di non so dire quanti egregi studiosi e divulgatori che possiamo invece ritenere a buon diritto “critici”. E che hanno consegnato man mano tasselli fondamentali per la realizzazione del mosaico critico in questione. Quello stesso mosaico che Fioraso auspica.

In quanto al biografismo, esiste (o forse si è ravveduta) una (ritengo esigua) corrente di pensiero secondo cui, per quanto riguarda Salgari, occorre trascurare la biografia valutando l'opera.

Personalmente non sono d'accordo e mi sono espresso più volte in questo senso. Mi pare un'anomalia. Persino una assurdità con connotazioni pregiudiziali: una sorta di ghettizzazione che forse trae le mosse dal fatto che Salgari non può vantare una biografia particolarmente movimentata e variegata sotto alcuni punti di vista. O che magari trae le mosse dal falso presupposto che il genere avventuroso creato da Salgari non possa permettersi il lusso di esigere gli stessi criteri che valgono da sempre e ovunque per ogni altro genere letterario e artistico. Ritengo di aver dimostrato più volte che anche per Salgari non è possibile trascurare la vita se si vuole valutare meglio l'opera. Un esempio solo, elementare: non si spiegherebbe adeguatamente quella che possiamo definire in generale “frettolosità” delle sue opere, in particolare quelle con pseudonimo, se non sapessimo quanti romanzi era costretto a consegnare per contratto in un anno e come, ciò nonostante, abbia inteso arrotondare i suoi scarsi introiti lavorando sottobanco (vale a dire usando alcuni pseudonimi) durante il poco tempo libero[2]. E non sapremmo queste cose se non fossimo a conoscenza dei suoi contratti e di parte del suo epistolario. Cioè della sua biografia nota. Ma si potrebbero esporre moltissimi altri particolari, rintracciabili direttamente nelle opere, che ci direbbero nulla o poco se non conoscessimo la sua vita, i suoi pensieri, l'unica intervista che ha rilasciato, le lettere di sua moglie che sono di pubblico dominio e via dicendo. Sarebbe possibile  addirittura scrivere un libro, al riguardo.

Ma veniamo al mio coinvolgimento, che Fioraso ha messo in atto, nel suo saggio, procedendo  nel suo discorso sulla “critica”. Così da proporre il libro I racconti del capitano, che ho curato nel 2006 per Magenes Editoriale di Milano, come esempio delle pubblicazioni dove “si guarda più al personaggio Salgari che alla forma e ai contenuti delle sue opere, con risultati che se pur sono apprezzabili per quanto riguarda la ricerca dei testi, sono assurdi dal punto di vista storico-filologico”. Ed ha motivato la scelta del mio libro asserendo che vi “è raccolta la narrativa scritta in prima persona da un protagonista che porta il nome Emilio Salgari; ma il “signor Salgari”, l'io narrante, non coincide affatto con l'Emilio Salgari reale, è semplicemente e solamente uno dei personaggi creati dallo scrittore. Quindi”, prosegue Fioraso,  “unire sotto lo stesso titolo- tra l'altro con uno strampalato ordine cronologico- una serie di racconti il cui unico legame è costituito dalla presenza di un personaggio, anzi, di più personaggi con lo stesso nome, non ha molto senso (se non l'iniziativa editoriale in sé). Non mi soffermerei sulla questione se essa stessa avesse molto senso e se questo giudizio non recasse palese ingiustizia ad un lavoro, anche editoriale (vale a dire con il coinvolgimento appassionato dell'editore), ben preciso e motivato. Che dire allora, detto tra parentesi, delle tante antologie che uniscono sotto lo stesso titolo, spesso addirittura senza alcun ordine cronologico, una serie di racconti il cui unico legame, anziché un personaggio, è un argomento o l'ubicazione o quant'altro? C'è qualche differenza sostanziale?

Ma è un discorso, quello di Fioraso, che si dimostra inconsistente se solo si leggono, del mio libro in questione, i brevi testi di copertina, che costituiscono sempre un utile strumento per chi prende in mano un volume allo scopo di capirne il contenuto. E soprattutto se si leggono le 26 pagine di presentazione e le due pagine intitolate I testi di questo volume, contenenti, queste ultime, precise indicazioni bibliografiche dei racconti che compongono l'antologia, a scanso di equivoci..

Da quelle letture, anche veloci, si comprende subito che non si tratta di un libro con pretese storico-filologiche; non si tratta di un libro che intende trattare come protagonista l'Emilio Salgari reale, e, infine, non si tratta di un libro che vuole esibire un ordine cronologico dei racconti  Se non esiste a ragion veduta e con esplicita dichiarazione un ordine cronologico, come si fa a parlare di “ordine cronologico strampalato”?

Non intendo ripetere quanto ho scritto nelle 26 pagine di presentazione, naturalmente. Contenenti, tra l'altro rivelazioni e altre novità, rintracciabili persino nelle didascalie delle illustrazioni. Contenenti cioè elementi di critica, come la intende Fioraso. Cito invece due brevi ma eloquenti frasi di copertina. Una dice: “Felice Pozzo riordina quei racconti con criterio inedito fino a ottenere una rotta fantastica, traccia dell'intento seriale dell'Autore”. L'altra dice: “Salgari che millantò studi, titoli e viaggi, riversò nei racconti sogni e fantasticherie creando un mondo parallelo dove si avverano i suoi grandi desideri marinari. In questa lucida, donchisciottesca visione onirica, potrebbe nascondersi un'utopia molto più maestosa di quella personale”.

Dico anche che il libro è maturato nel tempo. L'unica concessione, peraltro marginale, a criteri con risvolti sentimentali anziché “scientifici”, è consistita nel desiderio non tanto recondito di pubblicare, in omaggio a Salgari, qualcosa che potesse apparire come il diario di bordo di quel fenomenale e fantastico (cioè frutto della fantasia) “capitano” che asserì di essere, con toccante perseveranza, durante tutta la sua vita. Perché no, dopo tutto?

Precisando peraltro puntualmente (molto puntualmente: in una recensione sono stato addirittura accusato di sadismo contro un romanziere che, aggiunge il recensore, può senz'altro essere considerato un autentico capitano! Vedete com'è arduo accontentare tutti?), precisando puntualmente, dicevo, che quelle sue asserzioni furono innocue bugie frutto di toccanti fantasticherie. Fra l'altro ricondotte alla realtà, con un coraggioso gioco sulla propria pelle, da Salgari stesso nel romanzo La bohème italiana. Ed ecco che spunta,  nelle 26 pagine di presentazione, un altro giudizio critico inedito. 

Libro maturato nel tempo, ripeto, non raffazzonato lì per lì. Già nel lontano 1995[3] ho rivelato come esista (nessuno se n'era accorto) una stretta correlazione tra il personaggio “Salgari” nel racconto Una vendetta malese (1909)  e quanto asserito dal romanziere in persona durante un'intervista avvenuta nel dicembre dello stesso anno, da tutti consultabile perché, a suo tempo, l'ho ristampata. Il personaggio usa una splendida carabina per uccidere uno squalo. Afferma anche di conservare ancora quell'arma, dal cui acciaio si potrebbero ricavare ottimi rasoi. Durante l'intervista Salgari mostra al giornalista Casulli una vecchia carabina, la definisce fatta d'acciaio di rasoio e afferma “Con questa carabina inglese io davo la caccia agli squali”. A dimostrare, caso mai fosse necessario, i legami tra vita e opera. E nel 1996[4] ho affermato, con dimostrazioni, che l'uso della prima persona nei racconti di Salgari non equivale a millanteria. Si tratta piuttosto di normale tecnica narrativa spesso condita con  fantasticherie, quasi un divertissement. Ho affermato in altri termini, che l'io narrante non solo non è, ma neanche pretende di essere il Salgari reale. Mi sono poi accorto, per farla breve, che nei racconti (quasi tutti marinareschi) in cui Salgari gioca con una sorta di alter ego, usando perciò spesso le proprie generalità, tornano a volte le stesse navi, la “Maria Pia” e la “Risoluto” (se n'era accorto qualcuno?) e persino gli stessi personaggi di contorno. Sintomi di intenti seriali, mai evidenziati prima da altri. E se allora avessi provato a riordinare quei racconti ricostruendo per quanto possibile una rotta marinaresca precisa, non avrei dimostrato quell'intento? O magari qualcosa d'altro? Non so se è fare critica. Per me è addentrarsi in modo sperimentale, divertente anche, in sintonia con il divertissement di cui sopra, nel mondo salgariano e trarre delle conclusioni che ritengo “critiche”. Mi piace mettermi continuamente in gioco, alla prova, allo scoperto, senza saccenteria, senza finanziamenti, senza istituzioni alle spalle. Così se un racconto finiva con un approdo in Borneo, tanto per dire, ne cercavo un altro che cominciasse con l'inizio di un nuovo viaggio partendo dal Borneo. Magari con la stessa nave. Addio ordine cronologico, si capisce. E' un altro ordine. Un viaggio esplorativo. Un modo di esporre opera e sogni dell'Autore in un contesto che contempli l'ermeneutica. Non ho scritto 26 pagine inconcludenti, mi dicono. Infine, siamo sicuri che i protagonisti di quei racconti siano diversi tra loro? A me non pare proprio. Sono molto ma molto simili, agiscono allo stesso modo, hanno lo stesso carattere, le stesse abitudini di vita (fumo e alcolici), lo stesso linguaggio, gli stessi amici (spesso) e altro ancora. Sono tutti figli dello stesso divertissement, della stessa fantasticheria. Così fratelli gemelli da costituire un personaggio unico.

Avrei trovato più giusto, non tanto per motivi personali ma per questioni di corretta critica della critica, se Fioraso avesse preso in considerazione, come esempio “cattivo”, che so, certe recenti antologie recanti testi non integrali oppure, che so, certi saggi in cui tira aria fritta oppure ancora, che so, certe relazioni presentate tali e quali in tre o quattro sedi diverse. Qualcosa, insomma, che non sia il risultato di annose fatiche e di ricerche disinteressate e fruttuose.

Avrei preferito anche che, nel prosieguo del suo saggio, Fioraso avesse dimostrato maggior considerazione per la ricerca delle fonti, che definisce essere talvolta “esasperata”. La ritiene “meritoria” ma utile soltanto per giudicare l'utilizzo che ne fa Salgari. Il concetto è risaputo e tutti ne abbiamo scritto. Durante un convegno genovese (2005) al quale abbiamo partecipato entrambi, e poi in un libro successivo[5] ho tessuto un elogio alle doti di Salgari in tal senso, alchimista egregio che trae l'oro da materiali diversi, e ho esposto esempi concreti. Ma se non ci fosse chi scopre faticosamente e in modo certosino le fonti, fornendo magari utili materiali ad altri, come si farebbe a giudicare l'utilizzo che ne fa Salgari? E non mi riferisco solo al sottoscritto, inesausto e dichiarato “scopritore di fonti”, ma al compianto Giuseppe Turcato, al compianto Mario Spagnol, a Claudio Gallo, a Giovanna Viglongo, a Luciano Curreri, a Gian Paolo Marchi e a tantissimi altri abili cacciatori di fonti con i quali mi scuso se evito, per ragioni di spazio, un lungo elenco. Le fonti, in realtà, sono molto importanti e più se ne scoprono meglio è.  Consentono non solo giudizi sull'opera ma persino sulla vita. Piccolissimo esempio: una volta ho trattato con uno studioso l'argomento “Salgari capitano”. Come ha fatto, si chiedeva, a descrivere con tanta precisione questo o quell'altro fatto marinaresco se non ha davvero viaggiato? Non sarà il caso di rivedere la sua biografia? Gli ho fatto leggere le fonti che hanno consentito al Nostro quella precisione. Dopo averle rintracciate, ovviamente.

Ma, insomma, ben venga la disparità di opinioni con tanto di dibattito costruttivo, informato e corretto. E ben venga ogni tipo di ricerca, insieme a tutto ciò che serve per lavorare con profitto disinteressato e con giustizia sul grande e affascinante mosaico salgariano che, afferma giustamente Fioraso, è ancora in corso d'opera.



Felice Pozzo



[1]    In Emilio Salgari e dintorni, Napoli, Liguori, 2000, pp. 75-76.

[2]    Fioraso, nel suo saggio in trattazione, annota le “irregolarità” di quella produzione (in particolare quella pubblicata da Belforte) senza peraltro considerare questo fatto. E sul discorso degli pseudonimi trascura tutta una serie di studi esistenti che già rispondono in qualche misura ai suoi quesiti.

[3]    Cfr. E. SALGARI, Gli antropofaghi del mare del corallo – Racconti ritrovati,  a cura di Felice Pozzo, Milano, Oscar Mondadori, 1995, pp. 5-12.

[4]    Cfr F.POZZO, Grandi cacciatori e letteratura come menzogna, in: E. SALGARI, Un'avventura in Siberia, a cura di Alessandro Niero, Roma, Voland, 1996, pp. 111-125.

[5]    Cfr. F. POZZO, L'officina segreta di Emilio Salgari, Vercelli, Mercurio, 2006.


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